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C'era una volta a New York.La clandestina disperazione
Ellis Island nel 1921 era il porto di attracco e di passaggio di tutti gli stranieri per l'America: il paese del sogno e della svolta, così lo era per Ewa, giovane e avvenente polacca che, con la sorella Magda, cerca di raggiungere i suoi zii, da tempo stabilitisi a New York. Fa il verso al film di Leone, il film di James Gray C'era una volta a New York, con tre protagonisti d'eccezione: Marion Cotillard nella parte di Ewa, Joaquin Phoneix in quella di Bruno Weiss e Jeremy Renner nei panni del mago Orlando.
Un film nostalgico e triste allo stesso tempo: una miscela melanconica anche per i toni di colore della fotografia d'antan a cura di Darius Khondji, che ricordiamo per aver vinto la Palma d'Oro a Cannes con il film Amour di Hanecke, ma anche per il suo esordio indipendente con Delicatessen nel 1991 con la regia di Jean-Pierre Jeunet. Una patina ovattata riveste infatti questa storia tragica di sfruttamento dell'affascinante e innocente Ewa, interpretata magistralmente da Marion Cotillard. Ewa viene infatti costretta a prostituirsi con l'inganno da Bruno Weiss, che sfrutta la sua posizione di predominio perchè lei è clandestina ed ha la sorella Magda in quarantena a Ellis Island per malattia. Orlando, il simpatico mago recitato da Jeremy Renner, viene conosciuto da Ewa proprio a Ellis Island durante un'esibizione, prima del celebre Caruso. Questi spettacoli per gli immigrati che venivano trattenuti sull'ìsoletta per poi essere trasferiti a New York oppure rimandati a casa, ci ha spiegato Gray, figlio di immigrati russi, gli sono stati addirittura raccontati dalla sua famiglia e prima di ricostruire Ellis Island per come era si è documentato parecchio, trattandosi di un luogo simbolo di quel passaggio sconcertante da un confine di stallo alla libertà della terraferma.
Quello che fa vibrare maggiormente le corde del cuore è questo rapporto di odio misto a perversa compassione, in fondo, per due disperati: Bruno Weiss è difatti un torturatore perseguitato da sé stesso, incapace di amare e di sacrificarsi, solo abile a mettere metaforicamente “sotto chiave” delle donne con la minaccia della cacciata da quell'unica possibilità di sopravvivenza che hanno ricercato con così tanta ostinazione sulla terra americana. L'altra, Ewa, di certo ha una doppia spinta: quella di salvare lei e quella di salvare la sorella, unico legame solido di famiglia rimastole. Ed il sacrificio per un altro è “morale”: ammenda i peccati che si conducono contro sé stessi in una lettura tragicamente cristiana. Una sorta di figura di donna che ricorda la Mary (2005 – Premio Speciale della Giuria alla Biennale di Venezia 62°) di Abel Ferrara, la magnifica interpretazione di Juliette Binoche come Mary-Maria Maddalena, storia rivista secondo i Vangeli gnostici e che apre uno squarcio su una rilettura odierna e accesa da lampi originali dei misteri della Fede in senso cristiano e laico.