Elie Wiesel. La condanna del corpo

Articolo di: 
Marianna Dell'Aversana
A cuore aperto Elie Wiesel

La notizia spiazzante di un delicato intervento al cuore è per  Elie WieselPremio Nobel per la pace nel 1986, l’avvio di una riflessione sul senso della vita e della morte. L’ autore ebreo, testimone dell’orrore dell’Olocausto, nelle pagine del suo ultimo testo “A cuore aperto”, edito recentemente da Bompiani,  apre al lettore i moti più reconditi del suo animo, rievocando una vicenda intima, affidando alla scrittura i sentimenti comuni ad ogni uomo dinanzi a ciò che sembra inevitabile. “Il malato, prigioniero del proprio corpo condannato, posto suo malgrado di fronte al proprio destino, sente tali riflessioni con intensità feroce”, scrive Wiesel per spiegare il suo incessante bisogno, in una tale gravità , di procedere ad un esame di coscienza.

All’ iniziale incredulità per la diagnosi ricevuta subentra un forte senso di  Paura, che assume sempre più la forma del terrore di non risvegliarsi più. Wiesel è, pertanto, chiamato a confrontarsi  con una prova per cui non si sente affatto pronto. “Tante cose ancora da portare a termine. Tanti progetti da elaborare. Tante sfide da affrontare. Tante preghiere da comporre. Tante parole da trovare, tanti silenzi da far cantare”. Fondamentale in questa situazione sarà la presenza amorevole della moglie e del figlio Elisha, ai quali questa confessione “A cuore aperto” è dedicata.  Lo scrittore entra, quindi, in una dimensione quasi onirica, nella quale si inabissa nella profondità del suo essere, lasciando rincorrere, talvolta confusamente, volti, ricordi, sentimenti, pensieri di un passato mai completamente archiviato.

Si rivede bambino, adolescente e poi adulto. Ripensa alla nascita del figlio Elisha, ripensa alla sua paternità, rivive il suo incontro con la moglie Marion. Intanto si concretizzano le immagini della Geenna, l’inferno ebraico, abitato da angeli crudeli e spietati,  animato dalle urla furenti dei peccatori; ma, a più riprese, si impone il ricordo della famiglia d’origine, dei nonni, della mamma, della sorellina Tziporah, tutti uccisi all’arrivo ad Auschwitz, ma presenti ad ogni istante della sua vita. Il padre Shlomo, con il quale divide la prigionia morirà a Buchenwald lasciandolo solo e disperato. È proprio questo il pensiero ricorrente di Wiesel, ovvero le tenebre di Auschwitz, di Buchenwald, drammatica esperienza che l’autore ha provato a rappresentare sulla pagina bianca, pur consapevole che nessuna parola potrà mai dare compiuta forma a  “questo Avvenimento” (la Shoah).  Wiesel, infatti, scrive che “chi non ha vissuto la morte laggiù non capirà mai ciò che noi, i sopravvissuti, vi abbiamo patito dal mattino alla sera, sotto un cielo muto”.

E nella dimensione presente come in quella passata, in ospedale come all’interno di un Lager, riaffiora un interrogativo eterno che pretende una risposta, la quale, tuttavia, non sarà mai definitiva. Dov’è Dio in questa faccenda? si chiede Wiesel al risveglio. E, soprattutto, dov’era quando sono esistiti i campi di Auschwitz, di Birkenau, di Buchenwald? È difficile spiegare la presenza del divino nella sofferenza, nel dolore, quasi impossibile dare una motivazione al Suo silenzio di allora.  Per gli Ebrei, infatti, “Auschwitz rappresenta una tragedia umana ma anche e soprattutto uno scandalo teologico”.  Wiesel , tuttavia, può anche scagliarsi contro Dio, arrivando ad appropriarsi del grido di Geremia (Dio assassino, per aver permesso l’uccisione del popolo ebraico in occasione della distruzione del Tempio di Gerusalemme), ma non lo rinnegherà mai. Anzi, proprio quando sembra sprofondare in una concezione nichilistica, riesce a riaffermare la sua fede in Dio nelle pagine finali di quest’opera, con una scena significativa e risolutiva: nella tenerezza del nipotino che gli fa visita in ospedale può  scorgere la benevola presenza divina.

L’altro interrogativo, che, invece, sembra rimanere aperto,  in attesa di una soluzione, riguarda il ruolo dell’  umanità tutta dinanzi a questa tragedia, perché la società sembra ancora continuare ad annullare l’esperienza di Auschwitz, impossibilitata a guarire dall’odio, dal razzismo, dall’antisemitismo.  Altrimenti come comprendere le atrocità in Ruanda, in Cambogia, in Bosnia….?

Su tutto questo campeggia la lezione che Wiesel ha consegnato a noi tutti: dinanzi all’orrore di Auschwitz, dinanzi al silenzio dell’uomo, lui ha scelto la strada dell’apertura all’altro non della chiusura, profondendo una costante attività in difesa dei diritti umani, contro l’odio di un antisemitismo sempre pronto a risorgere. Tale è il comportamento di chi ha scelto la Vita, obbedendo ancora una volta alla Scrittura, al monito, in essa contenuto,  “Ubakharta Bakhaim” (Sceglierai la vita).

Pubblicato in: 
GN16 Anno V 26 febbraio 2013
Scheda
Autore: 
Elie Wiesel
Titolo completo: 

A cuore aperto
Traduttore: Ascari F.
Editore: Bompiani
Collana: I grandi pasSaggi Bompiani
Data di Pubblicazione: Gennaio 2013
ISBN: 8845270998
ISBN-13: 9788845270994
Pagine: 103
Formato: brossura
Reparto: Biografie e memorie > Biografie > Letterati
prezzo: euro 11.00