Gattomerlino. Le madri del Novecento raccontate dai figli

Articolo di: 
Nica Fiori
Mia madre era

Circa 70 testi, dedicati dai figli (soprattutto figlie) alle proprie madri scomparse, sono stati riuniti nel volume “Mia madre era… “, il cui sottotitolo “Donne e famiglie del Novecento” specifica che abbiamo a che fare con la storia del secolo passato: una storia quotidiana, vissuta da donne qualunque, soprattutto del Sud e del Centro Italia, le cui testimonianze sono preziose per capire quanto queste figure siano state importanti per l’educazione dei figli e per sostenere le famiglie in un secolo di forti cambiamenti sociali.

Il libro, edito da Gattomerlino, è a cura di Rita Laganà e Terry Olivi, due donne impegnate culturalmente a Roma in campo sociologico e letterario, con prefazione di Elio Pecora e postfazione di Franco Ferrarotti. L’illustrazione di copertina è di Nano Campeggi. L’idea di creare quest’antologia di racconti è nata, come scrivono le curatrici, “da una festa di compleanno organizzata, alcuni anni fa, per una mamma novantenne alla quale venne dedicato il racconto scritto della sua vita”. Partì da allora il progetto di raccogliere tante altre testimonianze, scritte da conoscenti e amici, al fine di ritrarre quelle madri nate nei primi decenni del Novecento, che, anche se non sono state protagoniste di storie eclatanti, sono sicuramente degne di essere ricordate, con i loro silenzi e rinunce, con le lotte di tutti i giorni per andare avanti.

Per la stesura dei vari racconti furono organizzate delle riunioniscandite da momenti che avevano il sapore di un vero rituale”, allo scopo di “immergersi in una dimensione intessuta di ricordi, riflessioni e gioco”. In particolare il momento del tè con i biscotti, paragonati alle famose madeleines ricordate da Marcel Proust nella sua Recherche, aiutava a “ricordare episodi di un passato ormai lontano che, all’improvviso, riaffioravano in modo folgorante”.

Due racconti riguardano madri ancora viventi e sono stati riuniti col titolo “Le madri si raccontano”. Il primo, “Una vita felice”, di Concetta Piscopo, nata a Napoli nel 1923, appare quanto mai positivo per la lezione di vita che riassume nella formula “lavorare e fare del bene”. Il secondo “Nix dormire” di Adriana Volpe, nata a Roma nel 1933, rievoca la sua infanzia e, tra le altre cose, il bombardamento del 19 luglio 1943 e gli anni difficili che seguirono, quando “non si facevano sconti ai bambini… caricati di lavori superiori alle loro forze”. Era lei che faceva il bucato nel lavatoio condominiale nel giorno del turno settimanale e d’inverno doveva rompere il ghiaccio per poter lavare i panni. Poiché la farina era insufficiente, doveva inoltre accompagnare il padre a raccogliere le spighe di grano in località Grottoni, spighe che venivano poi battute e macinate col macinino da caffè. Anche se drammatici, quegli anni “sono stati veramente formativi ancor più di una scuola”.

Le storie delle madri dell’Agro Pontino (“Dall’Agro Pontino madri e figlie raccontano”) sono stati riuniti insieme perché accomunati da un uguale collocamento storico-sociale, che ha visto l’emigrazione di intere famiglie in epoca fascista in quest’area che, prima della bonifica degli Anni Trenta, era infestata dalla malaria. Tutte le altre storie rientrano nell’ampio gruppo iniziale intitolato “Le madri raccontate dalle figlie e dai figli”. Tranne qualche poesia, si tratta di racconti, scritti dai vari autori ognuno con il suo ritmo stilistico, che ripercorrono l’infanzia, la giovinezza, le vicende e i percorsi delle rispettive madri.

Come scrive Elio Pecora, “ne deriva una folta galleria di ritratti, tutti colti nella luce dell’amore filiale”. Né potrebbe essere altrimenti, perché non si può non provare riconoscenza nei confronti di chi ci ha dato la vita, anche se a volte tendiamo a dimenticarlo e ci scontriamo con le nostre mamme. Merito del libro è proprio quello di riconciliare il rapporto tra madri e figli, che a distanza di tempo appare spoglio da precedenti rancori e incomprensioni.

È dalla notte dei tempi che la figura della madre incarna una sacralità legata alla trasmissione della vita. Ce lo dimostrano le numerose statuine del Paleolitico e del Neolitico, riproducenti donne floride riconducibili al concetto di “dea madre”, diffuso in tutta l’area mediterranea, molto prima delle Grandi Madri degli Egizi, dei Fenici, dei Babilonesi, dei Greci e dei Romani. Anche se può sembrare un controsenso, a pensarci bene è proprio per difendere la maternità che la donna a poco a poco ha perso importanza dal punto di vista sociale ed è stata relegata in casa per poter procreare e per accudire i figli, senza rischiare di morire in guerra o nei lavori pesanti. È solo con i mutamenti avvenuti nel secolo scorso che l’universo femminile ha acquistato la parità con l’altro sesso e un’autonomia, che le consente anche di optare per una maternità più consapevole, anche se poi alcune scelte (pensiamo per esempio all’utero in affitto) possono suscitare perplessità.

Indubbiamente la Madre è sinonimo di amore verso i figli e la letteratura antica è piena di esempi di madri straziate dal dolore per la morte dei figli, a partire dalla mitica figura di Niobe all’omerica Ecuba, alla dea Demetra che piange disperata per la perdita della figlia Persefone, rapita da Ade e portata nelle tenebre infernali. Il suo mito spiega l’avvicendamento dei cicli stagionali e quindi il risorgere della natura a primavera dopo il freddo dell’inverno. Con il cristianesimo la figura della dea Madre è sostituita da quella della Madonna, la Madre di Dio, cui ci si rivolge per chiedere conforto e protezione. La Madonna della Misericordia, tanto cara all’attuale pontefice, che ha indetto il Giubileo della Misericordia, è raffigurata con un mantello che protegge i fedeli, proprio come una mamma qualsiasi farebbe con il proprio figlio.

Nel libro sono anche trattate alcune figure storiche di madri di personaggi famosi, come Sant’Elena, madre di Costantino, Santa Monica, madre di Sant’Agostino e Caroline Archimbaut Dufays, madre di Charles Baudelaire. Il loro influsso sui figli fu sicuramente notevole, come evidenzia Franco Ferrarotti nella postfazione, e non limitato alla prima infanzia e all’adolescenza, ma costante nel tempo. Questi esempi, scrive Ferrarotti, “sono ben lungi dall’esaurire la figura materna – una figura complessa e, in alcuni casi, chiaramente contradditoria”. E qui si accenna alla figura di donna-madre delle società malavitose, fiorenti nell’area del Mediterraneo, come pure in India e in Cina. Sintomatica di un cambiamento in corso nella visione della figura materna appare l’ultima frase del libro, sempre di Ferrarotti: “Un giorno, forse non lontano, si dirà «matria» oltre che «patria». Era l’angelo del focolare. Fino a quando, e da chi, sarà legittimo chiamarla, come ancora oggi avviene, «carceriera ombelicale»?

Pubblicato in: 
GN40 Anno X 11 settembre 2018
Scheda
Autore: 
Rita Laganà e Terry Olivi
Titolo completo: 

Mia madre era. Donne e famiglie del Novecento, Gattomerlino Edizioni, Roma 2018, pp.336, 23 €