La grande bellezza. L'amaro nella "dolce vita"

Articolo di: 
Eleonora Sforzi
La grande bellezza

L'ultimo film di Paolo Sorrentino, presentato in concorso al Festival di Cannes due settimane fa, ha inizio, proprio come accade nei romanzi e nelle opere letterarie in genere, con un esergo: la citazione della poesia dell'autore francese Céline, dal titolo “Viaggio al termine della notte”, dove il tema del viaggio non è tanto inteso nell'accezione concreta e fisica, quanto esistenziale, che sembra anticipare una pellicola incentrata su un uomo e sul suo percorso interiore.

Se le prime scene del film mostrano alcune delle bellezze artistiche di Roma, mentre vengono visitate e ammirate da un gruppo di turisti, subito dopo, per contrasto, viene aperta una finestra su un'altra realtà, opposta ma ancor più frequente nell'alta società romana, quella delle feste notturne della vita mondana.
È qui che viene presentato il protagonista del film, di nome Jep Gambardella (interpretato dal bravissimo Toni Servillo), uno scrittore e giornalista di una certa notorietà, che sta festeggiando i suoi sessantacinque anni con numerosi conoscenti e amici di tutte le età, persone più o meno conosciute nel panorama sociale e pubblico romano.

Il regista ci fa entrare nella vita dell'uomo, soprattutto nei suoi pensieri, un passo alla volta, a partire dal momento in cui, proprio durante la sua festa dove si consumano divertimenti scatenati, alcol e droga, questi si ferma mentre tutti gli altri stanno ballando, per considerare se stesso e la sua natura sensibile. Nelle notti successive, in cui si alternano eventi mondani e solitudine, Jep ripensa alla propria vita fino a quel momento, rendendosi conto di averla “bruciata” da quando – arrivato a Roma intorno ai vent'anni – è stato "inghiottitodalla vita frivola ed elegante dell'alta società, di cui è consapevole di far ancora parte, ma, col passare del tempo, di sentirsene più distante.
È cosciente della vanità e della superficialità di ciò che lo circonda e, durante un'altra festa notturna, si allontana da quel caotico chiacchiericcio con Ramona (Sabrina Ferilli), la donna che lo ha accompagnato lì e con cui ha instaurato un rapporto di complicità e amicizia. Grazie ad un conoscente di vecchia data (interpretato da Giorgio Pasotti), che possiede le chiavi dei palazzi più belli dell'Urbe, i due hanno la possibilità di contemplare  alcune delle bellezze artistiche senza tempo, che testimoniano silenziosamente come in un'esistenza e in un'età in cui i valori sono sommersi dall'apparire e tutto sembra disintegrarsi, l'arte rimane sempre l'unico e incrollabile caposaldo.

Jep, che nella sua vita ha scritto, prima di trasferirsi a Roma, solo un libro intitolato “L'apparato umano”, sente ancora il desiderio di dedicarsi alla scrittura e in modo particolare dopo un evento che gli fa ricordare nostalgicamente il proprio passato e la giovinezza, ammettendo di non esservi riuscito da così tanti anni perchè non ha avuto modo di trovare “la grande bellezza”.

Questo film di Sorrentino non può che riportare la mente a “La dolce vita”, diretto dal grande Federico Fellini nel 1960, che rappresenta uno degli “sguardi” più precisi e attenti alla vita mondana della città romana degli anni '50-'60, ad una società piena di svaghi e di divertimenti, di eleganza e di celebrità italiane e non, ma anche pervasa dalla vanità e dalla solitudine.

Jep Gambardella appare l'erede odierno di Marcello (interpretato dal grande Marcello Mastroianni), già a partire dalla professione, infatti, sono entrambi giornalisti, ma aspirano a scrivere creativamente per professione.

Nelle notti del celeberrimo film felliniano, rispetto a quelle di Sorrentino, c'è comunque spazio per alcune considerazioni sull'esistenza e per alcuni esempi di vita serena e tranquilla, lontana dalla tendenza alla spettacolarizzazione dilagante nell'alta società e nel mondo giornalistico frequentato da Marcello. Fellini ha presentato, dunque, qualche piccolo e fugace riferimento ai valori positivi e alla famiglia, ad un'esistenza priva di superficialità, ma ormai irraggiungibile per il protagonista, la cui vita è stata “inghiottita” nel vortice dell'effimero e del nulla che lo circonda.
Diversamente, sotto questo aspetto, ne “La grande bellezza”, nessuno dei conoscenti o degli amici di Jep pare rappresentare i valori importanti della vita, ad eccezione di Romano (interpretato da Carlo Verdone) che, ad un certo punto, capisce che deve andarsene e tornare al paese d'infanzia per ritrovare se stesso.

Il solo rifugio del protagonista, che come l'antecedente felliniano fa parte a pieno titolo della mondanità romana, è l'osservazione contemplativa delle bellezze artistiche dell'Urbe e il ricordo nostalgico della purezza e dell'innocenza del suo primo amore.
Unici valori positivi sono rappresentati dalla semplicità e dalla ricchezza spirituale, sui quali ha basato interamente la propria vita una celebre suora, che dedica se stessa ai poveri e ai bisognosi, il cui incontro per Jep è molto significativo perchè sarà lei a portarlo ad assumere coscienza di ciò di cui sente la mancanza: il legame con le sue radici.

Sorrentino riunisce per la sua ultima pellicola un cast denso di famosi rappresentanti del panorama attoriale italiano, ma su tutti spicca ancora una volta Toni Servillo, la cui intensa interpretazione riesce a dare sostanza ad un ruolo non facile, soprattutto perchè molto realistico, che indaga implicitamente la natura umana e cosa significhi assumere coscienza di sé, un aspetto già indagato dal regista nel suo primo film, “L'uomo in più” (2001). Si tratta, dunque, di un film molto bello sotto tutti i punti di vista, anche esteticamente, grazie alla meravigliosa fotografia curata da Bigazzi e alle scelte delle inquadrature.

A mio avviso, la pellicola mette in evidenza come “la grande bellezza” sia, infondo, un valore puro e semplice, ma indefinito; è qualcosa di diverso per ognuno di noi e può manifestarsi in tante forme e situazioni, nella natura, nell'arte, nelle relazioni con gli altri, nelle piccole cose della vita di tutti i giorni. È un “sentire” che fa battere il cuore dei poeti, degli scrittori, degli artisti in genere e di tutti coloro che possiedono una profonda sensibilità e capacità di comprensione e di “ricezione” della bellezza.
Sorrentino, in un quadro dal gusto amaro della società odierna, ci ricorda implicitamente che ogni tempo ha bisogno di una sua “dolce vita”, nella sua accezione felliniana.

Una riflessione di Claudio Lugi sul film in versi poetici che giungono, diretti, all'essenza.

La grande madre

Ci si adegua presto
alla pigrizia dei meriggi
alle lunghe notti d'orge
di danze e parole
ad adorare statue
di carni corrotte
grondanti sangue
e metallo, laddove
séguita, infinita
l'agonia dell'impero.

All'ombra delle vestigia
millenarie e degli algidi
corridoi colonnati
ogni alito di civiltà
è irriso, violato
da improvvisi conati
di violenza suburbana
e dal cinismo di chi
celia, o pratica
l'eterno gioco del potere.

Ovunque è bellezza.
Ma tra le sue spire
ormai s'annida il male
e così, la città alleva
solo i figli cattivi.

Pubblicato in: 
GN30 Anno V 4 giugno 2013
Scheda
Titolo completo: 

La grande bellezza

REGIA: Paolo Sorrentino
SCENEGGIATURA: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
ATTORI: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Roberto Herlitzka, Isabella Ferrari, Giorgio Pasotti, Vernon Dobtcheff, Serena Grandi, Luca Marinelli, Giulia Di Quilio, Massimo Popolizio, Giorgia Ferrero, Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso, Ivan Franek, Stefano Fregni

Uscita al cinema 21 maggio 2013
(in contemporanea con la proiezione del film in anteprima al Festival di Cannes)

FOTOGRAFIA: Luca Bigazzi
MONTAGGIO: Cristiano Travaglioli
MUSICHE: Lele Marchitelli
PRODUZIONE:  Indigo Film, Medusa Film, Babe Films, Pathé
DISTRIBUZIONE:  Medusa Film
PAESE: Italia, Francia 2013
GENERE: Drammatico
DURATA: 150 Min.
FORMATO: Colore

NOTE: In Concorso al Festival di Cannes 2013