Holy Motors. L'iconico istante delle stelle

Articolo di: 
Livia Bidoli
Holy Motors

Guardando un film di Leos Carax si è colpiti dalla mancanza del limite tra sogno e realtà, immediatamente: non si può fare a meno di notare che i confini sono quelli dell'incanto della distanza su cui si posa lo sguardo di Walter Pater nei suoi Imaginary Portraits (1887). E così, Holy Motors, sulle note amare e leggere stranamente, di Dimitri Shostakovich e del suo Quartetto n. 15, si adagia su lidi shakesperiani che lo conducono su uno stage (un palcoscenico) ricolmo di fools (giullari, in particolare quelli mentori di verità shakesperiani) che vengono condotti da una parte all'altra della città da queste Holy Motors, limousine bianche e sacrali come il loro compito.

Oscar si dipinge la faccia e diventa un altro: lo stesso mendicante arrabbiato (Alex) del Pont-Neuf del 1991 (Gli amanti del Pont-Neuf con Juliette Binoche, precedente lavoro di Carax), lo stesso romantico salvatore e killer di un altro film, La ragazza sul ponte di Patrice Leconte (1999), il personaggio interpretato in Holy Motors da Denis Lavant, mentre nel film di Leconte è Daniel Auteil. Ma la favola in fondo è la stessa, sebbene veicolata diversamente: un amore perduto nel tempo della memoria, un attimo per salvare l'altro dalla fine, che resta lì, ad un passo: questo lo condividono i due film, quanto quell'estrema, struggente malinconia di fondo che lascia trapelare quelle note aldilà della morte come della vita, un refrain sacro e profano al tempo stesso.

Il film di Carax, con questo giullare ante-litteram che è Lavant, perfetto assioma della simbiosi con i suoi personaggi, quelle umanità bisognose e religiose di cui prende il posto sul limitare della vita o di un'angoscia irreprimibile. E costruendo immagini iconiche solleva tutti, perfino Eva Mendes dalla sua irremovibile materialità, diventa una Madonna che ha pietà di un barbone, un increscioso lapsus nel tempo che l'uomo dei fiori (che li mangia soprattutto), mette a segno in una grotta surrealista ferma in un lampo bergsoniano.

La fantascienza abbozza due creature che fanno l'amore, leste nel loro lussurioso congiungersi plastico ed intessuto di latex, con le lucine accese che ne dipingono i profili su uno schermo a proiettare la loro natura in dimensione cosmica, ingigantita dalla perdizione in un infinito alieno che gli dona nuova forma.

Kylie Minogue, irriconoscibile,
canta la canzone della trama: Who were we? Come se fosse una sorta di Ginger Rogers dalla voce più calda e suggestiva: chi eravamo, domanda ad Oscar la sua Jean, ricordandogli una bambina che forse era quella ragazzina che si chiama Angéle o forse qualcuno disperso nella pioggia di un momento inoculato nella caducità dell'esistenza: un film che abbraccia e vuole essere abbracciato, forse inconcluso, ma che lascia un profondo timore di non essere mai abbastanza all'altezza di questa vita che vuole elevarsi dal marciapiede (quello dove sostano i tanti mendicanti di Carax), ad osservar le stelle, anche quelle morenti, che ancora brillano per i nostri occhi.

Pubblicato in: 
GN31 Anno V 11 giugno 2013
Scheda
Titolo completo: 

Holy Motors
GENERE: Drammatico
REGIA: Leos Carax
SCENEGGIATURA: Leos Carax
ATTORI: Denis Lavant, Edith Scob, Eva Mendes, Kylie Minogue, Michel Piccoli, Elise Lhomeau

Uscita al cinema 6 giugno 2013

FOTOGRAFIA: Yves Cape
MONTAGGIO: Nelly Quettier
PRODUZIONE: Pierre Grise Productions, coprodotto da Arte France Cinéma, WDR/ARTE, Pandora Film Produktion
DISTRIBUZIONE: Movies Inspired
PAESE: Francia 2012
DURATA: 110 Min
FORMATO: Colore

NOTE: In concorso al Festival di Cannes 2012