Santa Cecilia. Sciarrino dipinge il Klage-Welt di Euridice

Articolo di: 
Giuseppina Rossi
Pappano Sciarrino Hannigan

È un viaggio carico di tensione, di angoscia, che lascia addosso un senso di sgomento e di ineluttabile impotenza davanti alla morte, quello che Salvatore Sciarrino affronta ne “La nuova Euridice secondo Rilke”, nuova composizione per voce e orchestra, commissionata al compositore siciliano dall’Accademia di Santa Cecilia ed eseguita in prima esecuzione assoluta, sotto la direzione attenta di Antonio Pappano con la straordinaria Barbara Hanningan soprano solista nelle tre serate presso la Sala Santa Cecilia del 28, 29 e 30 marzo 2015.

La cantata si sviluppa sul testo di un poemetto di Rainer Maria Rilke dal titolo “Orpheus, Eurydike, Hermes” scritto nel 1904 e pubblicato nella raccolta Neue Gedichte e si chiude, come un congedo rituale, sui versi di “An die Musik”, un inno alla musica scritto sempre dal poeta austriaco di origine boema nel 1918. Sciarrino sceglie di tradurre di suo pugno il testo in italiano “in quanto lingua più vocalica rispetto al tedesco”, operando alcuni limitati tagli per adattarlo a una “drammaturgia più scattante”. I versi di Rilke, che riprendono il mito della catabasi fallita di Orfeo nell’Ade per riportare l’amata Euridice nel mondo dei vivi, sono di una bellezza e di una potenza visiva, potremmo dire cinematografica,  forse senza uguali. Non è un caso che Iosef Brodski, grande poeta e drammaturgo russo, premio Nobel per la letteratura nel 1987, definì il poemetto di Rilke “la più grande opera di questo secolo” e ad esso dedicò un lungo saggio pubblicato nel 1995 in Dolore e ragione.

La cantata si apre in un’atmosfera immobile, sospesa, come dentro una fitta coltre di nebbia evocata da una dimensione sonora straniante con solo gli elementi dell’orchestra a tessere fin da subito una monodia spoglia, arcaica, che sembra essere lì da sempre, da prima ancora che qualcuno possa udirla. Poi appare la voce. In recitativi ora rapidissimi ora esitanti, alternati a brevi cellule melodiche, fa scorrere i versi, racconta. Siamo già a metà del viaggio, è buio. Qualcosa sgorga dal suolo, tra le radici: è sangue, denso come porfido, che dall’Ade, dalla “miniera delle anime” risale verso i vivi. Tutto intorno boschi irreali, rupi e campate di ponti gettate nel vuoto. E quello stagno, grande, grigio, cieco, sospeso “come cielo di pioggia su un paesaggio”. C’è un'unica strada, “una pallida striscia”, si vede qualcuno arrivare in lontananza. Poi sempre più vicino, perché corre, anzi “divora la strada a grandi morsi senza masticarla”.  La voce non racconta più. Diventa quello stesso ansimare, il respiro soffocato dall’ansia, sempre più corto, più rapido. E’ Orfeo, ha paura, non può voltarsi. Sente solo “l’eco dei suoi passi, il vento del mantello alle sue spalle”. Lo seguiranno “la tanto-amataEuridice e Hermes, “il dio dei viandanti e del messaggio lontano”? Silenzio. Solo il soffio dei flauti, il battito delle dita sulle chiavi, i colpi di lingua sulle boccole degli strumenti. Saranno i passi di coloro che arrivano? O è il vento che a forza, gemendo, si fa strada tra le rocce?

Anche l’Orfeo di Rilke e Sciarrino, si volta, come ancora e sempre nel mito si è già voltato. Non può non farlo. Ma il compiersi della tragedia non è nelle parole piene di dolore che Rilke affida ad Hermes quando annuncia: “Si è voltato!”, quanto nel soffio di voce che si perde nel vento di Euridice: “Chi?” chiede al dio, chi si è voltato? è nell’oblio di Euridice il fallimento del viaggio nell’Ade di Orfeo. La “tanto–amata”, nuova, vergine intangibile, “perfetta nella sua morte”, non sa chi sia Orfeo, nulla ricorda,  è “già radice”,  pronta a rientrare nel ciclo eterno di morte e di rinascita. Non è forse Persefone, la regina dell’Ade, figlia di Demetra, la dea Madre della Terra che avvicenda senza sosta le stagioni?

Nell’ultima strofa, Orfeo, immobile sul ciglio dell’Ade, vede il dio messaggero tornare indietro, ripercorrere la strada verso il mondo dei morti; tiene per mano Euridice, il passo di lei incespica incerto tra le bende funebri mentre ridiscende nell’Ade così come era salita, immemore, “mite, senza impazienza”. Ha perduto la sua amata per la seconda volta, per sempre, oppure Euridice ancora prima del viaggio negli Inferi già abitava altrove? Ma dove? In quel “mondo di pianto”, Klage-Welt, che il cantore tracio ha creato per lei con la sua lira, un mondo tutto nuovo, l’unico, il solo mondo in cui l’amata può ancora vivere, per sempre, sotto un Klage-Himmel, “un cielo di pianto, pieno di astri sfigurati”.

È la musica, con le parole della poesia di Rilke, “respiro delle statue. Forse: silenzio delle immagini. Tu lingua ove le lingue finiscono. Tu tempo perpendicolare sulla direzione dei cuori che passano”, “pura, immensa, non più abitabile”, questo altrove?
Spesso indifferente, talvolta appena increspata da trilli e glissati, la monodia intonata dall’orchestra dispiega la sua infinita gamma di silenzi e di timbri, mentre la voce si fa singhiozzo, più spesso lamento.

Il lamento è la voce del mondo – dice SciarrinoPer me il mondo si lamenta: è il lamento delle cose, che non è di per sé triste, è la loro voce, è la voce della vita”. Tutta la partitura ruota intorno alla parte vocale, di cui la cifra distintiva che caratterizza lo stile del compositore siciliano è  il cosiddetto portamento o “messa di voce” una sorta di crescendo glissato che parte dal nulla, dal silenzio e che percorre tutte le note fino all’acuto, come una lunga inspirazione, per poi ridiscendere, in un’espirazione più breve. La vocalità di Sciarrino è respiro. Ascoltare il respiro ci porta immediatamente in una dimensione di attesa, di tensione interiore ma soprattutto è esercizio per togliere ogni cosa dall’ovvio, per prendere coscienza di essere qui ed ora, in una parola, di vivere.

Nella seconda parte Pappano con l’orchestra e il coro di Santa Cecilia hanno proposto una buona esecuzione dello sfolgorante Magnificat in re maggiore BWV 243 di Johann Sebastian Bach con bravi solisti come Amanda Forsythe (soprano), Christin Senn (baritono) e soprattutto gli italiani Josè Maria Lo Monaco (soprano e contralto) e Paolo Fanale (tenore). Una composizione luminosa il Magnificat, con le trombe in grande risalto, intarsiata da melodie bellissime come quella dell’oboe d’amore che accompagna il soprano nel Quia respexit, dallo slancio ritmico incessante.

Pappano ha pilotato una sorta di macchina del tempo, abbiamo percorso quasi 300 anni di musica in poco più di un’ora, abbiamo attraversato pieni di angoscia l’Averno con Orfeo, abbiamo sfiorato e oltrepassato le soglie del silenzio con Sciarrino e con Bach abbiamo riempito il cuore di gioia e di speranza nell’ascoltare la Gloria dell’Onnipotente. Alla fine del viaggio un meritato, convinto e niente affatto scontato, successo di pubblico.

Pubblicato in: 
GN20 Anno VII 9 aprile 2015
Scheda
Titolo completo: 

Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Stagione Sinfonica 2014-2015
Auditorium Parco della Musica - Sala Santa Cecilia
Sabato 28 marzo ore 18 – domenica 29 ore 18 – lunedì 30 ore 20.30

Orchestra e Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Antonio Pappano direttore
Barbara Hannigan soprano
Amanda Forsythe soprano

Sciarrino La nuova Euridice secondo Rilke
Bach Magnificat

Biglietti da 19 € a 42 €
Info 068082058