Santa Cecilia. Il War Requiem di Britten. La pietas in musica

Articolo di: 
Livia Bidoli
Christian Rainer

Un requiem non solo per le vittime della seconda guerra mondiale, piuttosto un emblema della pietas in musica, il War Requiem scritto da Benjamin Britten (1913-1976) tra 1961 e 1962 e commissionato per la riconsacrazione della Cattedrale di Coventry, rasa al suolo dalla Luftwaffe l’8 novembre del 1940.

La messa latina pro Defunctis è perfettamente amalgamata a nove poesie di Wilfred Owen (1893-1918), poeta di guerra per antonomasia. Con un organico di oltre 200 musicisti tra Orchestra, Orchestra da Camera, Coro e Coro di Voci Bianche diretti da Semyon Bychkov, Marina Poplavskaya soprano, Andrew Staples tenore, Dietrich Henschel baritono, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha offerto dal 15 al 17 maggio 2011 una delle opere più maestosamente tragiche di Britten.

Il War Requiem Op.66 in sei movimenti di Benjamin Britten si propone da subito, nella scelta epocale di riunire tre cantanti di estrazione russa, tedesca ed inglese (Galina Vishnevskaya poi sostituita da Heather Harper per la mancanza del visto russo, Dietrich Fischer-Dieskau e Peter Pears, grande amico di Britten con cui diede vita alla Fondazione Britten-Pears), nel suo evidente spirito di riconciliazione e pacifismo connaturata al compositore britannico.

La divisione delle orchestre e dei cori insieme ai cantanti, è non meno significativa: alla soprano e al Coro con la grande Orchestra è affidato il testo in latino; al tenore ed al baritono insieme all’Orchestra da Camera, i testi in inglese di Wilfred Owen; all’organo insieme al Coro delle Voci Bianche, situati lontani dalle due orchestre, ed in questo caso completamente invisibili, di nuovo il testo in latino. Le loro voci sono distanti, quelle voci della purezza che si sono disperse nelle tenebre e nel dolore causati dalla guerra, come leggiamo nel frontespizio di Owen che Britten volle in prima pagina:
Il mio tema è la Guerra, e la pietà della guerra./ La Poesia è nella pietà…/Tutto ciò che un poetà può fare è ammonire (trad.mia; in orig.: My subject is War, and the pity of War./ The Poetry is in the pity…/ All a poet can do today is warn.)

Il Requiem dura circa 85 minuti e gli dà l’incipit – con le campane che risuonano a morto – il Requiem Aeternam intonato dal Coro e seguito dal Coro di Voci Bianche: il tema lirico centrale traspare gravido di pena attraverso il ricorrere del tritono, che per tutta l’estensione del Requiem diventerà un intervallo (the bell interval in inglese) diabolicamente e macabramente dissonante. L’entrata del tenore Andrew Staples con "What passing-bells" (per intero: What passing-bells for those who die as cattle? Quali campane a morto per coloro che muoiono come bestiame, trad.mia), ovvero l’"Anthem for Doomed Youth", sebbene sia annunciato dalla voce flessuosa e sensibile, ricca di gradazioni di colore di Staples, prende corpo quasi caparbiamente dopo l’evanescenza appena sfumata delle Voci dei bambini, quasi a contrapporsi ancora più aspramente attraverso il recitato.

Le campane interrompono il tenore, ed il Coro intona un mesto canto di morte: il Kyrie Eleyson riporta nell’astrazione del conflitto, nel peregrinare delle anime defunte e la loro ricerca di pace. Il Dies Irae seguente (la parte più estesa, di ben nove sezioni per un totale di 27 minuti, insieme al Libera me, di 23 minuti) è roboante e potente, percussivo ed in 4/4 che diventano ambiguamente 7/4, riproducendo un senso di annichilimento ambiguo. Il baritono, con la voce insinuante di Dietrich Henschel, che intona Bugles sang (La tromba ha suonato), rende sfuggente il tessuto musicale, a metà tra un impulso attrattivo ed uno repulsivo, intervallati dai tocchi acuti dell’arpa che suonano “di traverso”. 

All’entrata del soprano e poi del Coro il ritmo si fa convulso e marciante, mentre il funesto e sardonico dialogo tra Cori, Orchestra e cantanti, avvolge nella inveterata minaccia della morte, che va a braccetto coi soldati: “Qui fuori siamo andati, da amici, incontro alla morte,/ ci siamo seduti a mangiare con lei, fredda e cortese (in orig.: Out there, we've walked quite friendly up to Death:/ Sat down and eaten with him, cool and bland: trad. a cura di Sergio Rufini, Wilfred Owen, Poesie di guerra, Einaudi, Torino, 1985).

La conflittualità intrinseca tra tenore e baritono da una parte e Coro e soprano dall’altro è qui particolarmente mordente:i primi erodono il terreno musicale marciando a tempo di guerra, quasi impartendo ordini gli uni profetano recitando mentre gli altri, lanciandosi anch’essi nella dialettica, finiscono per intonare lamentosi rimpianti, accedendo alle emozioni più lancinanti (la Lacrimosa dies illa in particolare).

Il baritono tedesco con voce perentoria declama quasi dogmatico e “fastidioso” nella sua allocuzione sarcastica sulla guerra in “Move him into the Sun” (Portatelo al sole) ed è allora che il Coro insieme al soprano si ergono nella levità della trascendenza quasi danzando sulle note, soprattuttode del Pie Jesu Domine, Dona eis Requiem, Amen (Pio Gesù, Signore, Dona loro l’eterno riposo. Così sia).

Il Coro di Voci Bianche presenta l’Offertorium (il terzo movimento dei sei totali): l’irrealtà della purezza dei bambini con le loro voci è separata, nonostante cantino insieme al tenore ed al baritono “So Abram Rose” (Dunque Abramo si levò): il parallelo è diretto alla storia di Abramo che uccise suo figlio così come i potenti della terra mandarono a morire i loro giovani in guerra.

Per il Sanctus la voce del soprano si fa “tranquillamente inquieta”: paradossale il suono delle glockenspiel e degli xilofoni, che tramano un’atmosfera di disagio: il canto del soprano incede ma timoroso, melanconica, la melodia lo sorregge. Il baritono di “After the Blast of Lightning from the East” (Dopo che siano balenati i lampi da Oriente) incupisce e chiude il passaggio sul testo inglese di Owen.

L’Agnus Dei, affidato al tenore e al Coro, è un raffinato quanto commovente procedimenrto, nella sua lirica lamentosità che s’impervia sul fragoroso e possente Libera Me, dove le percussioni gravi sottolineano con asprezza la liricità sommessa che si vela di lacrimose variazioni, sottolineata dal canto delle due voci maschili.

Il dialogico rapporto tra l’Orchestra e il Coro marca la levità del tenore vieppiù la serietà ed il carattere crudele del baritono (un accenno alla Germania nazista forse), mentre gli archi glissano imprudentemente. Il soprano russo invece, Marina Poplavskaya, richiama il riposo dei defunti in pace (Libera me, Domine, de morte aeterna: Liberami, Signore, dalla morte eterna), per riconciliare le vittime col sonno dell'aldilà.

Il ritorno alla fine del tema del Dies Irae in 7/4 rende un clima apocalittico e sulle strofe di Owen: “Pensai d’esser sfuggito alla battaglia/ per un’oscura, fonda galleria, da tempo immemorabile scavata/ (…) Tuttavia, anche lì dormienti oppressi gemevano” (in orig.: It seems that out of battle I escaped/ Down some profound dull tunnel, long since scopeed/ (…) Yet also there encumbered sleepers groaned). Il testo di Owen fa rabbrividire e soltanto l’epilogo Let us sleeep now in paradisum, ove tutti partecipano del “riposo in pace” intonandolo, fa ammorbidire tenore e baritono, sebbene dissonanti.

La conciliazione dopo la guerra è un atto di fede che in questa partitura laica non esiste se non in termini di augurio per il futuro: le campane a morto conclusive sul Requiem Aeternam dona eis, Domine: et lux perpetua dona eis (L’eterno riposo dona lor, Signore e splenda per essi la luce perpetua), incupiscono ulterioramente, librate verso l’alto solo dalle voci candide e bianche del Coro dei bambini che si spegne languido prima del Coro ultimo lievissimo.

Un minuto di silenzio per le vittime della guerra: Bychkov si ferma dopo aver terminato di dirigere con estrema attenzione e coinvolgimento interpretativo l’intera partitura, ben affiancato da Marina Poplavskaya soprano, Andrew Staples tenore, Dietrich Henschel baritono, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in tutte le sue componenti, dal Coro diretto da Ciro Visco e dal Coro di Voci Bianche diretto da José Maria Sciutto.

Vogliamo ricordare la dedica di Britten e di Pears (che partecipò alla prima assoluta del 30 maggio 1962 nella Cattedrale restaurata di San Michele a Coventry), ai loro amici: 'In loving memory of Roger Burney, Sub-Lieutenant R.N.V.R., Piers Dunkerley, Captain Royal Marines, David Gill, Ordinary Seaman, Royal Navy, Michael Halliday, Lieutenant R.N.Z.N.V.R.'

Note. Se non diversamente indicato le citazioni e traduzioni provengono dall’edizione a cura di Sergio Rufini, Wilfred Owen, Poesie di guerra, Einaudi, Torino, 1985.

War Requiem è anche un film del 1989 di Derek Jarman. Il film è una rappresentazione visiva dell'opera di Benjamin Britten.

Pubblicato in: 
GN53 Anno III 23 maggio 2011
Scheda
Titolo completo: 

Sabato 14 maggio ore 18 - lunedì 16 ore 21 - martedì 17 ore 19.30* (concerto seguito)
Auditorium Parco della Musica – Sala Santa Cecilia

Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Coro diretto da Ciro Visco e Coro di Voci Bianche diretto da José Maria Sciutto
Semyon Bychkov direttore
Marina Poplavskaya soprano
Andrew Staples tenore
Dietrich Henschel baritono

War Requiem di Benjamin Britten