SPECIALE DIAZ. Il silenzio della democrazia

Articolo di: 
Livia Bidoli
Diaz

Diaz è un nome che in Italia ci toglieremo difficilmente dalla mente tutti: evoca un massacro perpetrato ai danni di persone inermi da parte della Polizia Italiana, una forza dell'ordine che ha come obbligo principale e inderogabile quello di difendere i civili dalle azioni criminali ed evitarne la perpetrazione. Daniele Vicari, regista di Diaz, ha scelto di raccontare all'Italia questa faccia in ombra della Polizia, la “macelleria messicana” nelle parole del poliziotto Fournier, che ha macchiato di sangue la notte del 21 luglio 2001 a Genova.

Nessuna presa di distanza, solo silenzio: nemmeno una parola di reproba per ciò che è successo. Né da parte della Polizia Italiana nelle voci dei suoi vertici, né tantomeno da parte dello Stato Italiano che ci rappresenta tutti e che in questo non solo ha tralasciato di curare la sua dignità, ma prima di tutto quella dei suoi cittadini, unico motivo di sopravvivenza per una democrazia propriamente detta.

Un pestaggio preparato e annunciato dagli stessi vertici come atto di rivalsa contro un'aggressione ad un auto della polizia in sosta davanti al Media Center della Diaz dopo la morte di Carlo Giuliani, ucciso da un carabiniere durante le manifestazioni (cfr. l'articolo su Black Block per approfondimenti. Il film viene proiettato in prima assoluta da RAI3 domenica 15 aprile alle ore 23.45).

Un linciaggio sistematico che inorridisce chi guarda: senza distinguo per l'età e le condizioni. Manganellate su parti vitali come la testa, in piena faccia, sui legamenti, la schiena, su donne e uomini che in quel momento stavano dormendo nel ricovero del Media Center di Genova. Erano le 22.45, quella l'ora stabilita per l'attacco al “manufatto” - queste le parole dei vertici riunitisi in Questura (leggere la sentenza di II grado per eventuali confronti) che l'11 giugno prossimo saranno giudicati per la sentenza definitiva in Cassazione dalla stessa sezione giudicante che ha prosciolto Marcello Dell'Utri: ma probabilmente non sarà nemmeno necessario, dato che stanno per ultimarsi i termini per la prescrizione.

Ai “cani rabbiosi della Polizia” non è bastato quella notte nemmeno quel sangue che non sarà mai lavato dalle pareti di una scuola che doveva garantire ristoro, organizzazione, i servizi minimi (non garantiti dalla città barricata e dagli alberghi cui era stato ordinato di non dare ricovero a nessuno in quei giorni): no, per loro non era ancora abbastanza e le sequenze delle torture di Bolzaneto (sentenza di secondo grado del 5 marzo 2010 che condanna 44 imputati), di quei crimini contro l'umanità iniziati qualche ora prima, dovevano continuare per 93 di quei giovani tirati fuori a forza dall'ospedale ancora col sangue sul volto tumefatto, costole rotte, abrasioni da idranti spruzzati sulle ferite aperte quando agonizzavano. E due donne della polizia coinvolte in questa “abolizione di qualsiasi tratto umano” non solo dalle vittime ma soprattutto dai loro aguzzini: ciò non fa che rinfocolare la rabbia per l'ingiustizia della pena, non scontata e probabilmente per cui nessuno pagherà, nonostante tutto.

E allora ha ragione Vicari quando in conferenza stampa asserisce: “E poi non mi si venga a dire che i cittadini non hanno fiducia nelle istituzioni, quando le istituzioni non si prendono i loro fardelli di responsabilità, quando dignità e umanità vengono sospese in base a false accuse di armi inserite nella Diaz dai poliziotti stessi, come mostrano tanti filmati agli occhi di tutti”. (link al video)

Una domanda ancora più pesante di questa viene in mente quando chiedo a Jennifer Ulrich (che interpreta Alma Koch - link al video), come mai, la Germania, come tutti gli altri Stati Europei coinvolti a causa dei loro cittadini - ben 93, di cui 40 tedeschi – non sono intervenuti (link al video) né la mattina dopo il massacro della Diaz, né tantomeno quando i loro cittadini sono stati portati a Bolzaneto a subire ulteriori sevizie e torture, ma soprattutto dopo, quando sono stati espulsi dall'Italia come delinquenti e non da cittadini europei che hanno subito lesioni gravi e cui si devono (come dalla sentenza di II grado) supporto e cure mediche, oltre che azioni legali. Viene il dubbio che gli stati coinvolti nel G8 fossero tutti a conoscenza dei piani del Governo Italiano per mantenere l'ordine, e che forse li fagocitassero anche loro, corrispondendo ad un disegno, nelle parole dello stesso Vicari: “Di affossamento del movimento No Global una volta per tutte”.

Non sarebbero bastate scuse e azioni diplomatiche in quel caso, nella democratica Europa, se fossero intervenuti anche gli altri stati a difesa dei loro cittadini  - come succede sempre e tempestivamente in altri casi ancor meno gravi di questo – ma ci sarebbe voluto un tribunale europeo, il giudizio del quale avrebbe ottemperato inoltre – come da richiesta di Amnesty International – a comminare il reato di tortura che, come ricorda Procacci: “Non è contemplato in Italia”.

Non basterà di certo la cittadinanza onoraria di Genova a Mark Covell attribuitagli dal Comune a luglio scorso – che come molti altri difficilmente rimetterà piede in Italia grazie a questo trattamento riservato nemmeno ai terroristi di stato -: il giornalista inglese ridotto in fin di vita ed in coma per oltre 12 ore  per le manganellate prese la sera del 21 luglio 2001 anche a corpo morto dai Carabinieri, quando continuava a gridare – col tesserino in mano – di essere un giornalista, ed uscito fuori fiducioso di poter parlare con le nostre “Forze dell'Ordine”.

Ci sarebbero potuti essere quindi molti più morti se il poliziotto Fournier, rabbrividendo alla vista di quello cui lui stesso fino ad allora aveva partecipato (c'è anche lui nella sentenza di II grado), non avesse gridato: “Basta! Basta!”, rendendosi conto che quello era un campo travolto da una guerra in cui solo alcuni avevano le armi, la Polizia, e dove gli altri erano solo corpi massacrati nelle loro costole, nei loro muscoli, negli occhi, sulle labbra, sulle teste che grondavano sangue e che sarebbero morti di lì a poco se non fossero stati soccorsi da cure mediche immediate.

In questo film, come asserisce Vicari: ”Ogni azione è vera ed è stata tratta da quello che è successo a Genova in quei giorni, e dagli atti processuali e dalle sentenze della Corte d'Appello di Genova del 5 marzo 2010 e del 19 maggio 2010”. Quello che è accaduto è vero e come continua lui: “La prima vittima è stata la legge ovvero la civiltà poi i corpi delle persone le loro coscienze: il minimo è che lo Stato si renda responsabile e che prometta che quello che è accaduto a Genova non si ripeta più (link al video) adoperandosi in tutti i modi affinché le due parole giustizia e democrazia non si svuotino completamente di significato”. Perché questa è la vera sconfitta di Genova, la sconfitta di tutti.

Una nota di merito inoltre alla colonna sonora (edita da RadioFandango) curata da Teho Teardo ed eseguita dallo straordinario Balanescu Quartet: ad evocare la tragicità degli eventi con una compassione che trapela lancinante ed in sintonia con la sensibilità necessaria alla visione del film.

Pubblicato in: 
GN22 Anno IV 9 aprile 2012
Scheda
Titolo completo: 

FANDANGO
DOMENICO PROCACCI
presenta
DIAZ
DON’T CLEAN UP THIS BLOOD
Un film di DANIELE VICARI
Con Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Elio Germano,  Davide Iacopini, Ralph Amoussou, Fabrizio Rongione, Renato Scarpa, Mattia Sbragia, Paolo Calabresi, Alessandro Roja, Rolando Ravello, Aylin Prandi, Emilie De Preissac, Monica Bîrlădeanu

«La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale» Amnesty International
Una produzione FANDANGO In co-produzione con MANDRAGORA MOVIES (Romania) e LE PACTE (Francia)
In associazione con Sofica A PLUS IMAGE 3 ed il supporto di Centrul National al Cinematografiei
Realizzato con il contributo dei Beni Culturali – Direzione Cinema e  la partecipazione della Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige e della BLS

Le testimonianze di Daniele Vicari sul film

Qui trovate inoltre i filmati originali usati nel processo.

Qui gli atti processuali

Premio Panorama del Pubblico al Festival del Cinema di Berlino

Vedi anche: