Torino Film Festival 2012. La nave di Roland Sejko trasporta i ricordi di un esodo

Articolo di: 
Stefano Coccia
Anja La nave

Una volta tanto può essere utile cominciare dalla fine. E avviare così quel percorso a ritroso che, partendo da un non trascurabile dettaglio, renderà più chiaro il valore dell’opera. Nelle battute finali del bel documentario realizzato da Roland Sejko, Anija (la nave), viene dedicata un’inquadratura a ciascun personaggio intervistato, il cui  nome compare nella sottostante didascalia accanto a quello dell’imbarcazione con la quale raggiunse il nostro paese, con specificato il numero di albanesi presenti a bordo della stessa nave.

Una velata ironia si fa strada quando ad essere ricordata è la testimonianza di un altro esule, ex pilota di aerei da caccia e oggi istruttore di volo, la cui didascalia riporta il velivolo in questione e una cifra sensibilmente più bassa delle altre, ovvero 2: quest’uomo decise infatti di disertare insieme ad un commilitone, facendo atterrare l’aereo da lui pilotato in Italia, quando alla fine degli anni ‘90 le autorità dell’Albania post-comunista comunicarono l’ordine di mitragliare una folla in rivolta. Sacrosanto il rifiuto dei due di eseguire tale ordine, così come la volontà di fare rotta altrove. Ma il bello viene alla fine, allorché la regia del film viene menzionata in un’ultimissima scritta. Provate un po’ a indovinare? Ebbene sì, anche il cineasta e intellettuale albanese Roland Sejko si ritrovò nel 1991 ad attraversare l’Adriatico su una di quelle navi stracariche di gente, nella fattispecie la Legend.

Il percorso esplorato dal film coincide quindi con le diverse fasi dell’avventuroso, drammatico esodo che portò in Italia migliaia di cittadini albanesi, spinti a emigrare prima dal collasso dell’economia socialista e in seguito dal clima di forte instabilità affermatosi, a livello socio-politico, con il nuovo governo. E molto deve la riuscita del progetto a quello sguardo per certi versi in soggettiva, direzionato all’interno, comprensibilmente empatico ma senza lasciarlo trasparire troppo, che giusto un autore passato per quelle stesse esperienze e dotato della necessaria maturità registica poteva esprimere in modo così vigoroso e genuino. Già, perché in fondo non è la prima volta che la fuga dall’Albania ci viene raccontata al cinema. C’è stato uno dei lungometraggi più importanti di Amelio, Lamerica. C’è stato, sempre a livello di finzione cinematografica, il dolente Lettere al vento diretto da un altro film-maker albanese, Edmond Budina. C’è stato, tornando nell’ottica del documentario, il lavoro presentato recentemente a Venezia da Daniele Vicari, La nave dolce, con la sua cruda rievocazione dei fatti che hanno riguardato il mercantile Vlora e i suoi occupanti, segregati dopo l’arrivo a Bari tra la zona del porto e lo stadio. Ci sono stati altri episodi filmici ugualmente degni di nota. Ma la sensazione è che Anija (la nave) costituisca un contributo di notevole spessore da aggiungere a quanto finora si è visto, detto e scritto a riguardo.

Roland Sejko, che dal 1995 lavora all’Istituto Luce e che a questa attività ne ha affiancata un’altra di taglio giornalistico, specializzandosi proprio sui temi dell’immigrazione, aveva già mostrato la sua predisposizione per le ricerche d’archivio in un precedente documentario, intitolato Albania il paese di fronte. Oltre a portare avanti le interviste, molto spesso emozionanti, con alcuni dei protagonisti di quel drammatico esodo, il regista ha compiuto anche in Anija (la nave) un lavoro prezioso sui materiali d’archivio, attingendo a fonti sia italiane sia albanesi. Particolarmente intenso, vibrante e per certi versi inedito è il ricordo dell’Albania comunista, un’Albania in cui alla costruzione di un vero socialismo si era presto sostituito il culto della personalità di Enver Hoxha. Terribili le immagini dei processi farsa, in cui uomini rei soltanto di voler espatriare venivano umiliati pubblicamente e condannati al carcere duro, se non addirittura alla fucilazione. Inquietanti anche altri aspetti tipici di un cinema di propaganda. Ma visto che sarebbe sbagliato pure inquadrare quella realtà come un “impero del male” a senso unico, c’è spazio anche per un po’ di amarcord e per immagini più distensive, rassicuranti, come quelle degli speciali veicoli destinati ad annaffiare le strade d’estate, con al seguito file di bimbetti che di lato correvano incontro all’acqua, ridendo, per cercare un po’ di refrigerio.

Dimostrando altrettanta sensibilità, Roland Sejko ha saputo poi contestualizzare le immagini della diaspora, con le navi prese d’assalto nel porto di Durazzo mentre il regime si avviava mestamente all’epilogo, con le immagini sapientemente rallentate di uomini e donne disposti ad arrampicarsi sulle funi pur di non restare a terra, con la disperazione negli occhi dei sopravvissuti a un naufragio; episodio dall’esito tragico, questo, verificatosi allorché in una seconda ondata di sbarchi, datata 1997, quell’Italia politicamente incattivitasi cominciò a sperimentare la pratica barbara dei respingimenti (per cui fu condannata dalla Corte Euroepa). Un bel corredo di musica classica, selezionata pescando nel repertorio di Smetana, Puccini, Strauss e altri autori, accompagna le immagini più significative. E se dovessimo scegliere un momento particolarmente emblematico, indicheremmo senz’altro la scena in cui un ragazzino albanese dal sorriso fiero viene preso in custodia da un poliziotto italiano. Tutto al ralenti, con When the ship comes in di Bob Dylan in sottofondo.

Pubblicato in: 
GN4 Anno V 26 novembre 2012
Scheda
Titolo completo: 

Anija - La Nave (2012)
Un film di Roland Sejko
Genere Documentario
Produzione Italia
Durata 80 minuti circa