Liberazione 25 aprile. Drug Gojko – Storia di un partigiano

Quello del 16 aprile, al Forte Fanfulla, è stato un pomeriggio di notevole intensità, tutto dedicato alla militanza politica e alla memoria storica. Il fil rouge del duplice evento (e il colore del proverbiale filo non è mai stato così ‘rosso’, come in questo caso) è chiaramente da individuare nella determinazione e nella volontà di partecipare alle lotte del presente, memori altresì di quanto le lotte passate siano state importanti, necessarie, tali da essere tramandate alle nuove generazioni. Vi sono pertanto frangenti in cui esporsi per testimoniare seriamente, col giusto ardore, ciò che ha rappresentato la Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale, diventa atto ancor più doveroso.

Il pomeriggio in questione è iniziato intorno alle 18 con gli interventi di Eugenio Gemmo e Marco Ferrando del Partito Comunista dei Lavoratori, la formazione politica promotrice dell’evento di cui il successivo spettacolo teatrale era parte integrante. A conclusione del loro discorso è stato invitato a parlare un rappresentante dell’ANPI, il quale oltre a portare il saluto dell’associazione ai presenti ha speso parole di riconoscenza per Druk Gojko, l’accorato monologo cui si sarebbe a breve assistito. Un attestato di stima, quindi, rivolto a Pietro Benedetti, autore e interprete di tale lavoro, sia per la documentazione raccolta che per l’energia nel mettere in scena una simile testimonianza.

Tratto dai racconti di Nello Marignoli, partigiano viterbese combattente nei Balcani, Drug Gojko propone le vicende dello stesso uomo in forma di monologo: classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina Militare italiana sul fronte greco-albanese e, a seguito dell’8 settembre 1943, combattente partigiano nell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda Guerra Mondiale. Trattasi, stando alle poche righe della presentazione, di “Una storia militare, politica, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica.” Con la regia di Elena Mozzetta e con un protagonista, Pietro Benedetti, perfettamente in grado di far rivivere quelle storie lontane facendo appassionare nel profondo l’uditorio.

Quando Pietro Benedetti entra in scena, impersonando un Marignoli ormai anziano, affisso alla parete vi è un manifesto di CasaPound; uno di quelli che nel ricordare la vicenda delle foibe ne distorcono subdolamente la realtà storica, amplificando a dismisura episodi marginali e tacendo completamente gli orrori che le truppe nazifasciste hanno compiuto, su scala decisamente più ampia, nei territori dell’ex Yugoslavia. Nello Marignoli prende quel manifesto e lo strappa con rabbia. Perché è vecchio, ma non rincoglionito: lui in quei luoghi c’è stato e sa bene come sono andate le cose.

Parte così la dimensione del ricordo. Tra canzoni e altre testimonianze dell’epoca, in una scenografia essenziale che rimanda al suo mestiere di gommista, l’uomo comincia a raccontare per filo e per segno cosa accadde dopo quell’8 settembre, quando si trovò prima a esser fatto prigioniero dei tedeschi e poi a scappare da un campo di lavoro (e di morte), per continuare la guerra a fianco dei partigiani titini. Gli orrori commessi dai nazisti e dagli italiani fedeli al Fascismo campeggiano in queste sue memorie, semplici e appassionate; al pari della volontà manifestata dagli altri combattenti italiani, quelli ostili alla cieca brutalità del regime (ben esemplificata da un aneddoto bellico raccontato all’inizio dello spettacolo), di dissociarsi da esso, andando ad ingrossare le file della Resistenza. E nel caso dell’avventurosa anabasi di Marignoli, partita dalle montagne della Yugoslavia, questa ribellione personale si fonde coi sentimenti di solidarietà e umana comprensione che lo portarono a familiarizzare con le genti del posto; un po’ come si legge in certa letteratura diaristica della Seconda Guerra Mondiale, vedi ad esempio lo splendido Il sergente sulla neve di Mario Rigoni Stern. Pietro Benedetti, che ama definirsi “comunista dolce”, con la sua voce ottimamente predisposta al racconto e col suo modo particolarmente intenso di rivivere (e far rivivere) le emozioni ha fatto un lavoro splendido, nato peraltro dal partecipe e paziente ascolto di tutte le peripezie vissute dal partigiano viterbese. Speriamo pertanto che questo spettacolo continui a viaggiare, specialmente in occasioni come il 25 Aprile e alla presenza di studenti, di giovani bisognosi di un’informazione e di stimoli differenti da quelli così omologati e falsi che a loro, purtroppo, vengono generalmente concessi.

Stefano Coccia