- Articolo di:Livia Bidoli
Lo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi – dal testo del poema latino attribuito a Jacopone da Todi - inserito tra due brani del compositore contemporaneo Giacinto Scelsi, ha condotto il Teatro dell'Opera di Roma in coproduzione con Grand Théâtre de Genève, Opera Ballet Vlaanderen e De Nationale Opera a mettere in scena nella Basilica di Santa Maria in Ara Coeli uno spettacolo unico e dal valore spirituale inusitato. Il più celebre Stabat Mater è stato diretto da Michele Mariotti con la regia, scene, costumi e luci di Romeo Castellucci. Lo spettacolo si è svolto dal 28 al 31 ottobre assicurando al pubblico il numero di 100 posti prenotabili gratutamente online.
Bidoli. Matrice visionaria
Matrice e realtà. Il viaggio di Livia Bìdoli inizia da questo titolo, che già da solo potrebbe costituire il verso di una poesia. Lo stampo, la base, l’humus sensitivo, il fuoco sacro… matrice. Il concreto, la direzionalità, i riferimenti, le regole… realtà. L’intero lavoro si equilibra tra questi due opposti.
L’autrice capisce bene l’ambizione delle sue liriche, che non si preoccupano di “comprare” il lettore, anzi il linguaggio usato è di pura controtendenza. La sua è un’opera di denuncia sensoriale. Scorrendo e correndo nei suoi versi, si respira aria di fisicità che non sfocia nella mera descrizione di materialità oggettive, piuttosto nell’inno alla visionarietà.
La mano è animata dall’approccio alchemico con l’esterno, si preoccupa di fissare l’intima collaborazione tra istinto e forma… ecco che una volontà si fa “veste ablumata… vorrei si posasse un brivido su tutte queste macerie dorate”. Appropriato l’uso ottimale di figure retoriche che hanno motivo d’esistere in opere tipo questa. La scrittura è sensoriale… ecco quindi metonimie e sinestesie, enjambements, a conferma di una padronanza tecnica a cui molti emergenti dovrebbero ambire.
Rimane ferma l’intenzione di non sfuggire dal quotidiano, per trattenerlo ed arricchirlo con colori sfumati e preziosismi dell’animo. L’atmosfera romantica permea le liriche, ma risulta poco leziosa e decisamente più incisiva, quasi cattiva… proprio a testimoniare la dimenticanza dell’uomo nei confronti delle emozioni, veicoli di forti impulsi costruttivi. Amore e natura non analizzati dall’interno, ma visti da un’angolazione che solamente la percezione può garantire. Il divino è inteso in un senso ancor più universale, come se esso stesso bramasse di piovere sull’umanità, come gocce sensitive.
Il messaggio del poeta non è contenuto in un codice; è ben esposto in ogni verso… chiaro ed inequivocabile. La forte carica visionaria è lo strumento principale con cui l’autrice lega le immagini, senza mai richiuderle su se stesse. Si potrebbe paragonare questa silloge ad un insieme di figure in continua attrazione-repulsione; sempre pronte a tornare all’origine (matrice), per mai dimenticare l’ambiente a cui inesorabilmente sono legate (realtà).

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