Munch a Palazzo Bonaparte. L'eleganza del Dolore

Articolo di: 
Livia Bidoli
Edvard Munch

Una mostra sontuosa nel suo calibro e nella sua portata come messaggio di spessore, quella organizzata da Arthemisia nella sua sede di Palazzo Bonaparte a Roma: l'esposizione di 100 capolavori dell'artista norvegese Edvard Munch, provenienti dal museo a lui dedicato e modernissimo, ad Oslo, nome odierno di Kristiania, è la prima così completa ed un viaggio immersivo nella vita e nell'evoluzione dell'artista, attualissimo, per la ricerca interiore cui ha sempre adempiuto. Fino al 2 giugno, a Palazzo Venezia, su due piani, vi attende l'artista norvegese che ha rappresentato piu' cogentemente le controversie del Novecento.

La prima tela è Malinconia (1900-1901), la sorella di Munch, Laura, è ritratta a 44 anni nell'ospedale psichiatrico nella quale è rinchiusa. Tutt'altra atmosfera dalla celebre Malinconia alchemica di Albrecht Dürer, il cammino inizia dalla condanna psichiatrica, che poi, chi dà tutto questo potere ai Mastermind? Ciò che un comune medico deve indagare con esami, raggi, ed una serie di analisi, lo psichiatra lo diagnostica quasi sempre solo con "l'osservazione dei sintomi" ed in una prospettiva assolutamente personalistica: un potere stratosferico. Eppure, siamo agli albori della psicoanalisi freudiana, nonchè junghiana, cui appartiene, oserei dire, la seconda fase di Munch, quella votata verso lo spirito e la sua elevazione, anche attraverso il corpo. Torniamo però a questa prima parte della mostra e della sua vita, che trascorre aiutato nelle sue vene artistiche dalla zia Karen, che lo indirizzerà verso la pittura, scoprendo un talento inversomiile e visionario.

Edvard Munch, nato dieci anni dopo Vincent Van Gogh, ovvero nel 1863, il 12 dicembre a Ådalsbruk, nella Norvegia del Sud, è un pittore che si incamminò sulla strada degli artisti bohemien di Kristiania guidati dal filosofo Hans Henrik Jæger: alcuni dipinti con in primo piano la bottiglia e con pennellate trasparenti di colore su un bianco sporco, sembrano ritrarre questo clima di alterata percezione dato dall'abuso di alcool e da una vita in disfacimento. Promotori di una riforma dei costumi e vcini anche ai drammaturghi Henrik Ibsen ed August Strindberg, i bohemien norvgesi e Munch in primis, conducono le loro ricerche intorno alla concezione dell'amore, che per il Nostro, è un viatico di dolore quanto di ossessione. Il quadro Vampiro nella foresta, dipinto tra 1916 e 1918, è un'evoluzione del primo Vampiro del 1895, piu' scuro e privo di qualsiasi colore chiaro, come è invece quest'ultimo. La posa è la stessa ed i capelli rosso fuoco della donna anche, però la natura qui sembra in qualche modo dare una parvenza di vitalità, e quasi di consolazione al riversarsi del viso della donna sul collo dell'uomo. Nondimeno angoscioso, con lui con i capelli verde scuro e l'abito blu scuro, il "vampiro della natura dolente", è una chiara metafora del femminile visto da Munch: una terribilità che prenderà poi le forme di un'Arpia (1899), oppure di una Madonna, - dipinto in varie versioni tra 1895 e 1902 - con un lui piccolissimo in fondo a sinistra, una sorta di spermatozoo che ha appena svolto il suo carico d'azione per provocare l'estasi nella donna. Così descrive il quadro lo scrittore tedesco amico di Munch, Franz Servaes, che evidentememnte coglie nel segno: "La donna, col viso reclinato a sinistra, è ritratta con lo splendore nel volto e completamente deliziata dall'atto sessuale appena consumato".

Un uomo, Edvard Munch che, oltre ad essere bello ed elegante nel portamento, era ferocemente attratto dalle donne, che però gli ingeneravamo un conflitto con Thanatos in prima fila: il ciclo del Vampiro, titolato "Amore e dolore", ne è un esempio lampante, come Il bacio della morte (1899), oppure Il bacio, con la sua simbiosi che fa scomparire i volti. La serie Il fregio della vita, poi, si compone nondimeno di Eredità e La bimba malata, due quadri che fanno rabbrividire: il primo, datato 1897-99, racconta di come la madre abbia condannato la figlia trasmettendogli la sifilide da cui era affetta; il secondo, invece, con varie versioni a partire dal 1885, ebbe come modelle la zia Karen e sua sorella maggiore Sophie, e ritrae una bambina sul letto in preda alla consunzione. Naturalmente Il grido o L'urlo (1893), il piu' celebre dipinto di Munch, non è che il corollario di tutta questa sofferenza: presente in mostra in un'ancora piu' tremebonda versione litografica in bianco e nero si dimostra la tempesta prima della quieta Disperazione, con cui si conclude l'esposizione al primo piano, con il sottofondo musicale di uno dei brani piu' tintabunnalici di Arvo Pärt, ovvero Spiegel im Spiegel (Specchio nello specchio).

A volo nominiamo l'unico libro illustrato da Munch, Alfa ed Omega (1908-1909), surreale e mostruoso, coi parti animaleschi di una Eva traviata nel senso più orrorifico della parola; ed anche i dipinti straordinari per il Fregio di Linde (cognome di due coniugi che commissionarono a Munch di dipingere le pareti delle stanze dei bambini e poi si resero conto che non erano adatte), tra cui ci piace riportare un magnifico paesaggio ad Åsgårdstrand, sul mare, dove ebbe la sua prima relazione amorosa con una donna sposata, Milly Thaulow. La danza della vita (1904) è il titolo di questa sorta di quadro panoramico diviso in tre scene dominanti: a sinistra una donna bionda vestita di bianco; al centro una coppia con una donna in rosso; sul lato destro una donna bruna vestita di nero cangiante sul viola. Una riproposizione in altra veste de La Sfinge (o le tre età della donna, 1894), dove la donna in bianco simboleggia la primavera; quella nuda l'estate; e quella in nero-viola, l'inverno e la caducità della vita.

Le morti e le separazioni hanno attanagliato la vita di Munch, a cominciare dalla morte della madre per tubercolosi, e poi della sorella Sophie; la separazione da Tulla Larsen è stata addirittura riprodotta in un dipinto tagliato in due, Autoritratto su fondo verde, Tulla Larsen (1905) nonchè riproposta come l'assassina Charlotte Corday, nel quadro dedicato a La morte di Marat (1907). Ciò che si nota però al secondo piano della mostra è il vitalismo, la rivoluzione, l'intensità dell'attaccamento ad una natura riprodotta come unica consolatrice, anche se a volte specchio ossessivo delle miserie interiori. Dalle Ragazze sul ponte, un quadro dolcemente aranciato, mattutino ed eburneo del 1902, di nuovo realizzato ad Åsgårdstrand, un luogo consolatore per il pittore; fino alla Notte stellata (1922-24) di Ekely, dove risiedeva negli ultimi anni della sua vita; ed Inverno a Kragerø (1912), dove la neve è una pennellata di ovatta su teneri azzurrini e violetti.

Il vitalismo del naturismo, della cromoterapia praticata forse senza saperlo, la conoscenza del biologo Ernst Haeckel, una sorta di culto dello Zoroastro sceso in terra come un raggio di sole, colpisce energeticamente con le sue inondazioni di un sole finalmente caldo e non al tramonto come in Vampiro nella foresta: il quadro Verso la luce del 1914 con un sole ed un uomo di profilo che vi si protende, fa il paio col Munch nudo bagnante in Uomo che fa il bagno (1918); ed Il falciatore (1917), nella stessa sala del dipinto col cavallo bianco accanto ad un uomo girato e proteso che lavora, in Uomini che scavano con cavallo e carro (1920). Tutti dipinti in piena luce, come l'Autoritratto davanti al muro di casa, del 1926: con questo concludiamo, con questa esegesi spirituale che ha mostrato Edvard Munch, toccando la latteratura di Ibsen e di Strindberg da vicino e sulle scene; le dissonanze musicali di Arnold Schönberg; creando in qualche modo una nuova scala, dei colori, come avrebbe fatto Kandinsky con questi ultimi e le linee, infrangendo le regole per preparare la tavolozza del futuro.

Pubblicato in: 
GN24 Anno XVII 24 aprile 2025
Scheda
Titolo completo: 

MUNCH IL GRIDO INTERIORE

Dall'11 febbraio al 2 giugno 2025

Edvard Munch (Norvegia, 1863 -1944) viene celebrato con una grande retrospettiva, con il patrocinio della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, in collaborazione con il Munch Museum in Oslo

Palazzo Bonaparte
Piazza Venezia, 5 (angolo Via del Corso)
00186 - Roma

Con il patrocinio di Ministero della Cultura Regione Lazio Comune di Roma – Assessorato alla Cultura Reale Ambasciata di Norvegia a Roma Giubileo 2025 – Dicastero per l'Evangelizzazione

Mostra a cura di Patricia G. Berman
in collaborazione con Costantino D’Orazio per il supporto nella redazione dei testi di approfondimento in mostra

Una mostra ARTHEMISIA