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Una biografia in fieri. Gregory Kunde, una vita da cantare
La biografia, che José Luis Jimenez ha scritto, basata sul lungo racconto resogli da Gregory Kunde, dopo l’edizione spagnola e la traduzione inglese, è appena uscita nell’edizione italiana con il titolo Gregory Kunde Una vita da cantare (dall’originale Gregory Kunde Una vida para cantarla) edita come le altre due da Sial Pigmalion.
Il quarantenne autore ha impostato la scrittura del racconto raccolto da Kunde in ordine abbastanza cronologico dall'infanzia a oggi, anche se è una biografia in fieri, perché la carriera del grande artista non è ancora conclusa, dando ovviamente maggiore risalto all’esperienza spagnola di cui è stato testimone, con valutazioni e con degli Intermezzi molto personali. L’edizione italiana è stata arricchita dalle importanti interpretazioni dell’artista fatte dopo la pubblicazione in spagnolo del 2019, tra cui giganteggia l’Eléazar della Juive di Halévy rappresentata a Torino nel settembre del 2023.
Nella narrazione, che si è svolta più colloqui, resa da Kunde al giornalista spicca e coinvolge il lato umano, gli ardui ostacoli professionali e il cancro, malattia e sfide affrontati con grande coraggio nella sua lunga carriera che raggiunto il 46° anno, con sfide e difficoltà che perdurano. Dopo la malattia sicuramente gli anni peggiori sono stati quelli del periodo di transizione, che lo ha portato dal repertorio rossiniano a quello attuale, che potremmo definire gli “anni di galera” quando faceva sostituzioni e cover perché doveva mantenere la famiglia.
Il capitolo più doloroso è quello in cui Kunde parla del rapporto con il paese di origine in cui è praticamente sconosciuto. Il teatro di Chicago dove si è formato non l’ha mai chiamato e anche al Metropolitan di New York ha cantato sporadicamente o per sostituire un collega che stava male. L’ultimo caso è stato quello del Samson et Dalila di Saint –Saëns quando Kunde sostituì Antonenko indisposto, in genere dopo un salvataggio la direzione del teatro ricambia chiamando per un altro spettacolo, ma non in questo caso non è avvenuto.
Non possiamo tacere la nostra esperienza personale per chiarire la nostra opinione: lo abbiamo conosciuto e apprezzato da quando arrivò al ROF (Rossini Opera Festival) nel 1992 e anche se la voce da tenore contraltino all’epoca era piccola, la tecnica, l’eleganza nel porgere il canto e del legato, l’attento fraseggio, l’espressività e la spiccata attitudine attoriale c’erano già. Poi è arrivata la svolta la rivelazione della voce potente prima come baritenore rossiniano, come Pirro, Otello e Antenore poi i ruoli verdiani come Arrigo e Otello, ruoli in cui il dominio della tecnica belcantista e la spiccata attitudine attoriale si sono manifestati pienamente, affinati dalla lunga esperienza, testimoniano la grandezza dell’artista. Per nostra diretta esperienza, i personaggi complessi e contraddittori come Otello, Peter Grimes e infine Eléazar sono quelli che più attraggono Kunde e in cui più si rivela la grandezza di interprete. Riguardo a Otello è l’unico ad aver interpretato l’Otello rossiniano e quello verdiano a distanza di pochi mesi, solo Roberto Stagno lo aveva fatto, ma a distanza di anni.
Ma quali difficoltà ci sono ancora? Nella biografia viene suggerito il fatto di non essere sostenuto da un forte apparato pubblicitario e discografico. Poi a nostro avviso c’è un problema: la maggior parte di coloro che seguono l‘opera, sia maggiormente nel pubblico ma anche tra gli addetti ai lavori, ci sono coloro che non conoscono l’italiano, conseguentemente non capiscono cosa si dice, l’importanza del rapporto tra musica e parola e come si deve dare peso espressivo ad ogni parola. La conseguenza, amplificata anche dalla registrazione visiva di alcuni spettacoli e la trasmissione al cinema, è di dare massima importanza all’aspetto fisico, che imporrebbe il rispetto dell’età. A questo si aggiungono un parossistico movimento scenico e l’abuso della potenza vocale e degli acuti prolungati e sguaiati, come lamentato spesso dal Maestro Muti.
La rappresentazione teatrale a differenza del cinema si basa sull’Illusion comique (difesa già da Pierre Corneille contro un preteso realismo), in cui è l’interpretazione che dà senso e verità alla rappresentazione. Molti anni fa nel dicembre del 1980 all’Opera di Roma andò in scena una memorabiIe edizione de I due Foscari di Verdi: Renato Bruson interpretò magistralmente il vecchio Doge, mentre il figlio Jacopo ebbe come straordinario interprete Carlo Bergonzi di dodici anni più vecchio. Nessuno tirò fuori argomenti come età o aspetto fisico, perché la verità scenica è nell’interpretazione.
Oggi non ha importanza che palesemente alcuni non sappiano cosa stanno cantando, rendendo la resa scenica debole, vocalizzano, mostrano un canto sguaiato e volgare, ma sono giovani e carini e questo perché la maggior parte del pubblico, che non conosce la lingua, pensa che il melodramma sia solo un esercizio di potenza vocale. Jimenez parla dell’esigente pubblico italiano, ma la profonda differenza è che si accorge se chi canta sa cosa sta cantando e lo sa interpretare.
La narrazione di Jimenez è un po' appesantita dalla reiterazione di alcune parti e concetti anche se abbiamo il dubbio che nella impaginazione del testo della traduzione ci siano degli errori: un esempio in Londra a sessant’anni a pagina 250 è scritto:” Dopo l’audace proposta di debuttare ne l’Otello verdiano (che si racconta nel prossimo capitolo)” ma non è così perché il capitolo è precedente. Inoltre i numerosi refusi ed errori fanno pensare ad una certa fretta e sciatteria da parte della casa editrice che non ha provveduto ad un’attenta correzione delle bozze. Nonostante questo il racconto delle vicende reso da Kunde è non solo di grande interesse ma appassionante e vale la pena leggerlo. Al testo si aggiungono un prologo di Sir Antonio Pappano e un epilogo di Linda Wojciechowski-Kunde.
Aggiungiamo poi che il racconto di Gregory Kunde, in cui domina una grande umanità e determinazione nell’affrontare un percorso della carriera molto arduo e complesso, unito al piacere delle sfide, ci ha fatto pensare che forse il titolo più adatto potrebbe essere in chiave verdiana Abitare la battaglia – dall’omonima e incompiuta analisi delle opere verdiane dell’anglista e appassionato verdiano Gabriele Baldini.