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Giotto e Beato Angelico. L'umanità e la grazia
Se dal Complesso del Vittoriano (Piazza Venezia), che ospita la mostra Giotto e il Trecento, il più sovrano maestro in dipintura, si prende la stradina a sinistra a salire, la Scala dell'Arce Capitolina, si arriva in pochi minuti in Piazza del Campidoglio. Qui, ai Musei Capitolini, c'è la mostra Beato Angelico. L'alba del Rinascimento. Ambedue, fino a giugno 2009.
Poco più di cento metri tra le due mostre, per passare dal Trecento al Quattrocento; poco meno di cento anni tra le vite dei due pittori, due artisti tra i più grandi d'Italia.
Giotto, diminutivo di Ambrogio di Bondone (1267 – 1337), in questa mostra, è contestualizzato storicamente e insieme alle sue opere (una ventina delle centocinquanta presenti), si ammira una cospicua antologia d'arte a lui contemporanea, tra dipinti, parti di affreschi e di mosaici, sculture, bassorilievi, manoscritti, pezzi di oreficeria. Pittore e architetto, allievo di Cimabue e maestro a sua volta (grazie anche al suo viaggiare per la penisola), fu per la pittura quel che fu Dante per la lingua italiana. Restituì volume alla figura umana, tornando al naturalismo della classicità romana e dette impianto spaziale alla composizione, superando la pittura bidimensionale bizantina con le sue figure fisse e ieratiche. In una parola (quella del coevo Cennino Cennini) "tradusse l'arte dal greco al latino", per un'interpretazione della realtà e della natura umana più profonda. Verso quel che sarà l'Umanesimo.
Beato Angelico (1395- 1455), soprannome di frate Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, fu detto Beato subito dopo la sua morte (lo fu dichiarato, nel 1984, da papa Giovanni Paolo II), proprio per i temi religiosi, cui si ispirò da pittore (autore di tavole, tabernacoli, scomparti di pale e di polittici, tele), nonché da disegnatore e miniatore, un versatile operato il suo, parimenti presente nella mostra, che ospita una cinquantina di opere, tra le quali anche quelle di altri. La sua tecnica sapiente si rifece allo stile tardo-gotico, con la sua tradizione spiritualizzata e risplendente di ori; ma lo spazio all'interno dei suoi dipinti tenne conto delle lezioni di Filippo Brunelleschi e di Masaccio. Verso quel che sarà il Rinascimento.
Giotto, ritenuto il primo vero pittore italiano per la linfa vitale dei dipinti, cercò di rendere l'umanità dei personaggi sacri, con espressioni drammatiche, con ambienti naturali ed architetture, vere e proprie scatole prospettiche. Nell'illusione pittorica, dette vita ad uno spazio credibile, all'interno del quale si muovono persone vere, dai visi in tensione, in pose non più solo ascetiche e contemplative, ma colte nei momenti culminanti dell'azione. Anime, immortalate in una dimensione affettiva. Come le Madonne con Bambino, che non guardano più davanti a sé come nelle icone, ma guardano il Bambino e ne sono guardate.
Anche il frate domenicano fece attenzione alla figura umana e alla costruzione prospettica, due principi della nuova visione umanistico-rinascimentale, che affiancò nelle sue opere ai vecchi valori medievali del ruolo didattico dell'arte e del valore mistico della luce. Ma non vi è solo una forte religiosità nelle sue tele, sintetizzata da Elsa Morante nella definizione di lui "frate propagandista"; c'è una tecnica raffinata e un tratto del disegno e del colore, che quasi fanno dimenticare di assistere a scene religiose, a favore di una raffigurazione spiritualizzata del bello ideale. Le sue Madonne annunciate sembrano presagire quelle di Antonello da Messina, il loro pudore degli occhi.
Giotto fu l'umanizzazione dell'arte, il suo farsi terrena, come il Crocefisso; Fra' Angelico, la grazia, che sale al cielo, con grandi ali d'angelo.