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Gothic Dissent. Il tramonto della notte
Uno spettacolo c'è stato poco tempo fa a Roma, e in giro per l'Italia per tutto marzo, a cura di Riccardo Paccosi e musicato dall'arpa celtica di Andrea Seki, intitolato Le sette parti della notte, da uno scritto del filosofo Giorgio Agamben; ha rischiarato il buio dell'Occidente: un buio del tutto metaforico, eppure, onnipresente. Se Huizinga e Spengler si fossero messi a scrivere un libro comune, tra L'autunno del medioevo e Il tramonto dell'Occidente, forse l'avrebbero intitolato così, Il tramonto della notte. E di questo si ha proprio bisogno.
Cominciamo con il citare il regista, l'attore, l'autore Riccardo Paccosi per chiarire il concetto principale dal quale partiamo per l'analisi di questa rappresentazione e dello scritto da cui proviene, che riflette su tre anni di storia nerissima occidentale. Gli ultimi tre. Ascoltiamolo, Paccosi:
"Nei momenti bui bisogna sempre cercare un raggio che rischiari, una luce che ponga fine alla notte."
Nello spettacolo Le sette parti della notte Paccosi porta in scena l'omonimo scritto vergato da Giorgio Agamben su Quodlibet il 16 settembre 2022, e che asserisce in entrata: “Viviamo una dimensione senza alba”. L'epigrafe recita:
Vi sono sette parti della notte: il vespro, il crepuscolo, il conticinio, l’intempesto, il gallicinio, il mattutino e il diluculo.
Isidoro da Siviglia, Etimologie.
Il vespro inaugura la prima parte e che cosa celebra se non il temibile tramonto dell'Occidente, come recita il corposo libro di Oswald Spengler pubblicato a Monaco nel 1923 in modo definitivo con il sottotitolo Lineamenti di una morfologia della storia mondiale e tradotto in Italia da Julius Evola nel 1957 e poi rivisto da Stefano Zecchi nel 1978? Ne citiamo una parte che ci comunica quanto avvenuto a marzo 2020 possa aver destato o piuttosto per alcuni, la maggioranza, "addormentato", i sensi, la recezione speculativa e metaforica del reale, che si esprime attraverso i simboli:
"I simboli sono segni sensibili, impressioni ultime, semplici e soprattutto involontarie di un dato significato. Un simbolo è un aspetto della realtà che per un uomo dai sensi desti indica, in termini di certezza interna immediata, qualcosa di incomunicabile intellettualmente. "
Segue al Vespro il crepuscolo, cito dall'epigrafe di Agamben: "Il crepuscolo è una luce dubbia. Creperum significa infatti l’essere in dubbio, cioè fra la luce e le tenebre".
Con questo secondo capitolo comprendiamo la natura del libro ispiratore di Sant'Isidoro da Siviglia e il motivo della scelta di Agamben: all'origine delle parole risiede la loro realtà, visibile ed invisibile e il tomo che il santo pubblica nel 630 si chiama “Etimologie”, una specie di vocabolario teologico in cui indica il significato e l’origine di parole fondamentali della fede cristiana, che chiaramente ha un doppio strato di senso.
Ecco, quindi la nebbia, l'incapacità di disinguere forma e senso, un velo opaco che ha coperto, io dico in modo "trasparente" dacché moltissimi, troppi, non vedevano, ciò che Paccosi riporta con le parole di Agamben:
"Il crepuscolo è diventato in questo senso un paradigma di governo, forse il più efficace, che mobilità al suo servizio l’apparato dei media e dell’industria culturale. Così un’intera società vive nel crepuscolo, in dubbio sulla luce e la tenebra, sul vero e sul falso."
E che cosa fa un uomo disperato dal dubbio? Tace. Siamo giunti al Conticinio.
"Il conticinio è quando tutti tacciono. Conticiscere significa infatti tacere." E che rende tutti complici, come riporta Agamben in uno scritto successivo, Il complice ed il sovrano, del 28 novembre 2022:
"Nella terminologia del diritto penale, il complice è colui che ha posto in essere una condotta che di per sé non costituisce reato, ma che contribuisce all’azione delittuosa di un altro soggetto, il reo. Noi ci siamo trovati e ci troviamo di fronte a individui – anzi a un’intera società – che si è fatta complice di un delitto il cui il reo è assente o comunque per essa innominabile."
E questo è il motivo per cui io parlo di "Dittatura Trasparente", per gli ultimi tre anni, e che sta mutando in una società della sorveglianza come l'ha identificata Michel Foucault, in cui tutti sanno che i proprietari dei nostri dati sono la Silicon Valley con cui il nostro stato fa accordi e contratti di qualsiasi ordine e per qualsiasi individuo, anche minore, con piena asserzione di tutti e spesso con lo sciocco commento: "Tanto io non ho nulla da nascondere", come se fosse quello il quid. Lo stato totalitario imposto con "arresti domiciliari; coprifuoco; diritti costitutzionali violati; sperimentazione sociale e faramcologica; controllo di massa", è stato giustificato da una malattia: un tempo completamente subito perchè inoperoso, ovvero l'Intempesto:
"Il tempo che misuriamo con tanta cura in sé non esiste, diventa conoscibile, diventa qualcosa che possiamo avere soltanto attraverso le nostre azioni."
Ciò che prima di tutto ci è stato rapinato è il tempo.
Quel che segue è infatti il Gallicinio: "Il gallicinio è così chiamato perché i galli annunciano la luce". In realtà il gallo non sa ancora, quando canta, se la luce verrà oppure no, ed è uno dei divertimenti del tiranno, non far sapere la fine della pena per il condannato.
La sesta parte si avvicina definitivamente alla luce, è il Mattutino: "Il mattutino è fra il dileguare delle tenebre e l’avvento dell’aurora. È detto mattutino perché è il tempo del mattino incipiente."
La settima parte è il "Dilucolo, quasi piccola luce incipiente del giorno. È l’aurora, che precede il giorno."
Siamo giunti con Riccardo Paccosi e l'arpa antica, celtica, di Andrea Seki, alla Finis terrae, dove abita lui, in Bretagna: un luogo che può essere un valico oppure un ponte, una congiunzione od un confine, quello che hanno segnato tra gli uomini con la metafora prometeica di timbrare, con un'inoculazione forzata, ogni singolo essere umano: la cifra numerica compariva sul documento che sottoscrivevano "volontariamente" le vittime, e sulla fiala d'ordinanza della pozione magica. Un rito collettivo in cui la scienza era diventata la nuova Religione, il siero il suo strumento benedicente.
C'è un però, luminoso, che conduce all'aurora prima nominata:
"Colui per il quale ogni istante è l’ultimo non può essere catturato nei dispositivi del potere, che hanno sempre bisogno di supporre un futuro. Il futuro è il tempo del potere, compieta – l’ultima ora, la buona – è il tempo del pensiero."