Basilica di Santa Cecilia. La Quarta di Mahler per orchestra da camera

Articolo di: 
Teo Orlando
Syntagma.jpeg

L'ensemble orchestrale Progetto Syntagma (originario de L'Aquila), diretto da Luca Incerti e con la soprano Sabrina Cortese, ha proposto, e vinto, una scommessa: quella di proporre  un capolavoro della musica sinfonica del Novecento, ossia la Quarta Sinfonia di Gustav Mahler, nella  trascrizione di Erwin Stein (allievo di Arnold Schönberg) per organico ristretto, senza troppo far rimpiangere l'originale. Il concerto si è svolto il 14 luglio 2022 nella Basilica di Santa Cecilia in Trastevere, nell'ambito della rassegna de “I Concerti dell’Accademia degli Sfaccendati” e in appendice al Convegno dell’Academia Latinitati Fovendae, che si è tenuto lo stesso giorno a Roma e a Frascati.

Con la Quarta Sinfonia, il grande musicista boemo effettuò quasi un percorso compositivo à rebours; infatti, compose nel 1892 l’ultimo movimento, in forma di Lied, mentre solo nel 1900 concluse gli altri tre tempi. La sinfonia è stata spesso considerata una sorta di riflessione sui temi della morte e dell’infanzia: assistiamo a una velata descrizione di un luttuoso paradiso popolato dai sogni delle anime dei fanciulli, non senza la connotazione di una lieve ironia.

Il primo tempo (Bedächtig. Nicht eilen – Riflessivo. Non troppo mosso) è forse quello con la linea melodica di maggior influenza mozartiana e per questo si riallaccia idealmente alla Sinfonia KV 551, "Jupiter". I flauti imitano i campanelli aprendo un tempo insolitamente sobrio, contraddistinto da una sorta di equilibrio classico. Segue una melodia mutuata dal secondo tema dell’Allegro moderato della Sonata per pianoforte op. 122 di Franz Schubert, ma piegata a un'armonia del tutto classica, fino a ricordare temi del cosiddetto classicismo viennese, da Mozart a Haydn (e del resto Schubert si pone all'intersezione tra classicismo e romanticismo). Ma si tratta appunto di mera apparenza, come ci ricordano i campanelli iniziali (qui sostituiti dalle percussioni del valente Yuri Vallario), di cui si potrebbe dire, con il filosofo tedesco Theodor Wiesengrund Adorno, che alludono al fatto che "non c’è niente di vero in quello che si sta ascoltando". Ossia, il materiale classico viene filtrato attraverso un tema che si snoda in modo quasi scomposto e arruffato, con le parti affidate ai fiati che insidiano la priorità degli archi.

In ultima analisi, questa parte appare caratterizzata da una sorta di studiata frammentarietà, con le varie articolazioni che ritornano unitarie nello sviluppo salvo poi disgregarsi di nuovo verso la coda. Sostanzialmente si suggerisce che non esiste nessuna logica lineare del discorso musicale: non potremmo essere più lontani, con questo senso dell’illusorio, dalla composta olimpicità della sinfonia “Jupiter” di Mozart, a cui pure Mahler si ispira. Del resto, il grande compositore boemo sosteneva che riprendere la tradizione sic et simpliciter rischia di tradursi in sciatteria: come ci ricorda Quirino Principe, egli aborriva ogni confusione tra la tradizione e la mera ripresa del passato. Per lui, i pretesi tradizionalisti sono in realtà i veri nemici di quella che oggi, con la filosofia ermeneutica di Hans-Georg Gadamer, chiameremmo la “tradizione vivente”.

Lo Scherzo del secondo tempo (In gemächlicher Bewegung, ohne Hast – Moderato senza affrettare) si connota per la presenza sconcertante di un violino solista apparentemente “scordato” (ma in realtà accordato un tono sopra rispetto all’accordatura canonica). Il violino così trattato (in modo da somigliare il più possibile allo strumento usato nelle danze popolari, il cosiddetto Fidel, poi ripreso dal fiddle del folk americano) simboleggia il “Freund Hein”, una figura tipica dell’arte e della mitologia medievale tedesca, di solito rappresentata nelle vesti di uno scheletro che suona il violino conducendo un Totentanz (danza della morte): con questo trattamento il violino conferisce alla musica un carattere quasi spettrale, fino a raggiungere la tensione di quella danza macabra resa famosa dal poema sinfonico di Camille Saint-Saëns. A questa tensione si alternano tipici ritmi di marcia. Ma si tratta di marce depurate dal loro carattere costrittivo di origine militaresca, così da diventare sogni di una libertà possibile, quasi rimandando a una regressione infantile con il desiderio di parlare una lingua ormai perduta, anche a costo di perdere la propria identità. E in effetti, come ha avvertito Adorno, dietro l’apparente serenità la musica di Mahler appartiene al regno delle ombre, nel quale viene trascinata come la mitologica Euridice nella leggenda di Orfeo.

Il terzo tempo (Ruhevoll. Poco adagio - Tranquillo. Poco adagio) rappresenta la sezione più distesa e dilatata dell’intera sinfonia. Mahler stesso lo prediligeva, definendolo “la più grande mescolanza di colori mai apparsa”. Si articola su due temi cantabili, di carattere lirico ed estatico, veicolati attraverso una serie di variazioni che ricordano alcuni passaggi della Sinfonia n. 9 di Ludwig van Beethoven, arrivando però ad incorporare anche varie dissonanze, come è tipico della musica post-romantica (ma come già lo stesso Beethoven aveva prefigurato, soprattutto negli ultimi quartetti per archi): la novità di Mahler qui consiste nel fatto che queste tensioni apparentemente disarmoniche non vengono mai ricomposte in modo definitivo. In modo un po' paradossale, qui abbiamo un’anticipazione della visione celeste che verrà poi descritta nell’ultimo movimento. Ma l’improvvisa esplosione si interrompe bruscamente e la musica affonda di nuovo in una dimensione crepuscolare che evoca paesaggi di silenzio (e pochi come Mahler sanno evocare il rapporto tra musica e silenzio, di cui hanno variamente parlato personaggi diversi come Vladimir Jankélévitch e Robert Fripp).

Infine, il quarto movimento mette in musica il testo della poesia “Il cielo è pieno di violini” („Der Himmel hängt voll Geigen“) da Des Knaben Wunderhorn, dallo stesso Mahler leggermente modificato e intitolato “La vita celestiale” („Das himmlische Leben“). Questo Lied popolare, affidato alla voce del soprano Sabrina Cortese (di cui abbiamo apprezzato soprattutto la notevole timbrica, soprattutto sui toni acuti), descrive le gioie di un paradiso irreale, apparentemente distante dall’uomo: del resto, il fatto che Mahler affidi la parte vocalica solo a un soprano dimostra quanto questa sinfonia sia esile e delicata, complice anche la rinuncia alle imponenti masse sonore, da lui spesso abilmente sfruttate.

L’apertura in sol maggiore ci introduce a una rilassante scena bucolica, in cui la voce del soprano presenta una visione ingenua del Paradiso, descrivendo la festa in preparazione per tutti i santi. Ma la scena ha i suoi elementi molto oscuri: un bambino, tramite la voce del soprano, ci spiega che la festa si svolge a spese degli animali, tra cui un agnello sacrificale ("Johannes das Lämmlein auslasset,/Der Metzger Herodes drauf passet,/Wir führen ein geduldigs,/Unschuldigs, geduldigs,/ Ein liebliches Lämmlein zum Tod". - Giovanni lascia l'agnello in libertà/Erode il beccaio all'erta sta:/noi portiamo un paziente,/un innocente, un paziente,/ un caro agnellino alla morte. Trad. di Quirino Principe) che ci ricorda l’analogo agnello di William Blake (The Lamb). Va però notato che qui la simbologia rimanda piuttosto all’universo ebraico che a quello cristiano. Non a caso poeti di forti ascendenze ebraiche, come Paul Celan e Leonard Cohen (Cfr., di quest'ultimo, The Butcher: "I came upon a butcher,/he was slaughtering a lamb", - mi imbattei in un macellaio,/stava facendo a pezzi un agnello), hanno molto insistito sul tema della vittima sacrificale, di cui l’agnello rappresenta la metafora forse più sfruttata.

La vita del paradiso appare come quindi una parodia della vita terrena, al punto che questo movimento viene interpretato come “il commento più radicale sul corso del mondo, che Mahler abbia mai composto” (Iván Fischer). Con ciò si intende che qui nella musica si vuole mettere in risalto che né la fede né l'umorismo e l'ironia saranno in grado di sconfiggere l’inadeguatezza del mondo; la conclusione quasi soffocante è sintomatica: la visione apparentemente ingenua del paradiso svanisce prima della conclusione. "Nessuna musica giù in terra suona" („Keine Musik ist ja nicht auf Erden“), si legge nell’ultima strofa. È la vita celeste (Das himmlische Leben), quella di un paradiso strano dove i bambini si abboffano e i santi squartano animali per cucinarli. Per citare dei versi:

Wir führen ein englisches Leben,/Sind dennoch ganz lustig daneben;/Wir tanzen und springen,/Wir hüpfen und singen,/Sankt Peter im Himmel sieht zu./Johannes das Lämmlein auslasset,/Der Metzger Herodes d'rauf passet./Wir führen ein geduldig's,/Unschuldig's, geduldig's,/Ein liebliches Lämmlein zu Tod./Sankt Lucas den Ochsen tät schlachten/Ohn' einig's Bedenken und Achten./Der Wein kost' kein Heller/Im himmlischen Keller;/Die Englein, die backen das Brot. (La vita celestiale La nostra è una vita d'angeli,/e siamo in tutto felici,/danziamo e saltiamo,/balziamo e cantiamo:/San Pietro nel cielo ci guarda fìsso./Giovanni lascia l'agnello in libertà,/Erode il beccaio all'erta sta:/noi portiamo un paziente,/un innocente, un paziente,/un caro agnellino alla morte./San Luca manda al mattatoio il bue,/senza pensarci troppo, senza scrupoli./Il vino non costa un quattrino/nella celeste cantina;/gli angeli hanno messo il pane in forno). (traduzione di Quirino Principe).

Si può a lungo discutere se Mahler credesse o no in questo paradiso. Stando a Ken Russell e al suo film Mahler. La perdizione, la conversione dell’ebreo Mahler al cattolicesimo appare come un mero gesto opportunistico, finalizzato ad assumere la direzione della Staatsoper di Vienna. Del resto, lo stesso Adorno, parlando dell’immagine di beatitudine che conclude la sinfonia, sottolinea che si tratta di una descrizione contadina ed antropomorfa per avvertire che il paradiso non esiste, come spesso si riscontra in quella miscredenza tipica dei luoghi dove alla conversione forzata è seguita la critica scettica dell’illuminismo. In fondo, quella di Mahler è una sorta di cristologia paradossale di stampo gnostico, che serve il salvatore a tavola all’anima indigente, la quale non avrà mai la sicurezza di ridestarsi. La fantasmagoria del paesaggio trascendente rimane una nostalgia (Sehnsucht) inattingibile, che riflette i tormenti interiori del compositore: Mahler era tormentato per vari motivi, che vanno dall’amore per una donna di quasi vent’anni più giovane, quell’Alma che diventa l’immagine visibile del desiderio di concentrare in un oggetto amato quel rimpianto nostalgico per una giovinezza mai autenticamente vissuta, fino all’invecchiamento interiore che egli percepiva con grave sofferenza. Del resto, lui stesso definì questo lavoro come il culmine di un ciclo, iniziato con la Prima Sinfonia, finalizzato alla comprensione del senso della vita e della morte. Con la Quarta ci muoviamo in un’atmosfera sovrumana per scoprire che il cielo è un luogo di appagamento che può essere gioito con la purezza dell’animo infantile.

Pubblicato in: 
GN33 Anno XIV 18 giugno 2022
Scheda
Titolo completo: 

Gustav Mahler: Sinfonia n. 4 in sol maggiore per soprano e orchestra

Versione per ensemble da camera di Erwin Stein

1. Bedächtig, Eilen nicht (Riflessivo. Non troppo mosso)

2. In gemächlicher Bewegung, ohne Hast (Moderato, senza affrettare)

3. Ruhevoll, Poco adagio (Tranquillo, poco adagio)

4. Sehr behaglich (Molto comodo): Das Himmlische Leben (La vita celestiale)

 

Sabrina Cortese - Soprano

Luca Incerti - Direttore

Ensemble Progetto Syntagma

14 giugno 2022, 20:30

Roma, Basilica di Santa Cecilia in Trastevere

Concerti Accademia Sfaccendati
Academia Latinitati Fovendae