Lavia all'Argentina. Il tribunale in maschera dell'esistenza

Articolo di: 
Giuseppe Talarico
Tutto per bene

Al termine ed alla fine dello spettacolo Tutto Per Bene di Luigi Pirandello, in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 10 febbraio 2012, con la regia e protagonista Gabriele Lavia, uno dei grandi protagonisti della cultura italiana, riaffiora nella mente dello spettatore la disputa su Pirandello ed Il Pirandellismo, riassunta in modo esemplare in un suo saggio da Leonardo Sciascia.

Nel suo saggio critico, Sciascia ricorda come inizialmente l’opera di Pirandello, che comprende i Romanzi, le Novelle, ed i testi drammaturgici, non venne capita e compresa per la sua novità estetica. Adriano Tilgher diede una interpretazione geniale della poetica pirandelliana, cogliendone il senso ed il significato con la celebre formula critica che individuava nel conflitto tra Vita e Forma il tema fondamentale dell’intera opera letteraria del grande scrittore siciliano.

Altri critici, come Croce e Renato Serra, oltre a Gramsci nei Quaderni dal Carcere, si chiesero se quella di Pirandello fosse una autentica filosofia oppure solo una pseudo filosofia, le cui suggestioni tematiche riecheggiavano i problemi dell’uomo moderno posto dinanzi alla crisi dei valori ed a quella esistenziale, che ha influito sullo sviluppo del decadentismo Europeo.

Nello spettacolo, all’inizio della rappresentazione, sullo scena compaiono due uomini che, in preda al dolore lancinante, piangono  una donna, che giace priva di vita sul suo giaciglio. I due personaggi, la cui figura è delineata in modo magistrale nel testo di Pirandello, sono Martino Lori, il marito della donna morta, interpretato in modo perfetto da Gabriele Lavia, ed il senatore Salvo Manfroni, parte affidata al bravissimo Gianni De Lellis. In un momento successivo della rappresentazione, che segna lo sviluppo della vicenda drammaturgica, nella casa di Martino Lori, il giorno in cui sua figlia Palma Lori sposa il marchese Flavio Gualdi, ricompare la vedova Agliani. La vedova Agliani, nonna di Palma Lori, ha abbandonato il marito, un celebre fisico, e la figlia, oramai morta da molti anni, e si ripresenta il giorno delle nozze della nipote, dimostrando un'insensibilità umana sorprendente quanto oscenamente impudente.

La vedova Agliani, mentre attende di vedere sia la nipote ed il genero, che non ha mai conosciuto, conversando con il figlio alla presenza della cameriera di casa Lori, ricorda il marito, un uomo di scienza di grande prestigio morto prematuramente, e confessa al figlio che vuole rivolgersi al senatore Salvo Manfroni, che in gioventù era stato allievo di suo marito, il professor Agliani, per chiedergli un aiuto. Presto si viene a sapere che il Professore Agliani e la figlia, dopo essere stati abbandonati da questa signora, l’avevano dimenticata.

La nipote Palma Lori, trovandosi dinanzi la nonna, inizialmente ostenta indifferenza e stupore, in seguito, intenerita dalle sue smancerie, la accoglie e accetta il regalo per le sue nozze, celebrate da poco. Il nucleo  di questo dramma Pirandelliano è rappresentato dal rapporto che questi due uomini, Martino Lori ed il Senatore Salvo Manfroni, ebbero con la donna scomparsa, la figlia del professor Agliani. Alla morte del padre, Silvia Agliani si trasferì da Perugia a Roma e si rivolse all’allievo di suo padre Salvo Manfroni, nel frattempo divenuto senatore ed un influente uomo politico, per ottenere un aiuto ed un sostegno.

La commedia, come emerge dall'accurata scenografia e dagli arredamenti che evocano l’atmosfera dell'Italia fascista, è ambientata agli inizi degli anni venti del novecento. Silvia Agliani sposerà per caso Martino Lori, divenendo l’amante del senatore Salvo Manfroni, al quale si era rivolta in cerca di aiuto. Nel corso della rappresentazione si scopre che Salvo Manfroni ha pubblicato un'opera di fisica, grazie alla quale ha ottenuto il successo politico ed i pubblici riconoscimenti, il cui contenuto scientifico ha copiato dal libro inedito del suo professore e maestro.

Questo personaggio incarna, nel dramma, la figura del politico mediocre, privo di meriti intellettuali e di talento, che con grande spregiudicatezza riesce sulla scena sociale ad assumere la maschera dell’uomo di potere ed a coltivare le relazioni con il prossimo con grande opportunismo, pur di primeggiare. Diversamente, Martino Lori, che per sedici anni, dopo la scomparsa della moglie, si è recato ogni giorno sulla sua tomba per piangerla, in preda allo sconforto ed ad un dolore irrimediabile che ha devastato la sua identità di uomo, raffigura il personaggio che crede nei valori dell'onestà morale, della fedeltà coniugale, della amicizia disinteressata, e della purezza autentica, sicchè non sa vedere quanto avviene nella sua vita.

Viene presentato come un uomo debole ed indifeso, schernito dalla figlia e dal senatore Salvo Manfroni, per il suo  temperamento dimesso ed esente da ogni forma di arroganza. Questo personaggio, interpretato in modo magistrale da Gabriele Lavia, soltanto quando avrà avuto con sua figlia una conversazione franca e sincera, in una stanza oscura che evoca la tenebra e la colpa, scoprirà la verità che gli è stata taciuta e modificherà il suo atteggiamento.

La figlia, Palma Lori, sposata con il marchese Gualdi, e per la quale il senatore Manfroni ha creato una dote, gli rivela che lui non è suo padre, poiché la madre è stata l’amante del senatore, del quale è la figlia. In questa parte dello spettacolo il conflitto lacerante tra realtà e finzione, tra maschera ed identità, tra forma e vita raggiunge il suo culmine. In preda alla disperazione, dinanzi a Palma che gli dice di non essere sua figlia, Martino Lori confessa di non essere più nulla, di non sapere come fronteggiare l’insensatezza esistenziale da cui si sente assediato.  Ricorda, sopraffatto dalla disperazione, di essere stato felice per tre giorni, poiché la moglie Silvia, prima di morire, lo amò sinceramente, per la prima volta nella sua vita, e gli chiese di allontanare dalla loro casa il senatore Manfroni.

Il personaggio di Martino Lori, soprattutto nella parte finale del dramma, assurge ad altezza morale esemplare,  quando in un drammatico confronto rivela al senatore di conoscere la verità, e di  comprendere il motivo per il quale lo aveva nominato suo capo gabinetto, una volta divenuto ministro, e di conoscere la ragione dell’interesse mostrato verso Palma, di cui, ingannandosi, si era considerato il padre. Alla figlia le parla, alla presenza del senatore, confessandole la sua disperazione e la sua infelicità per il tradimento subito dalla moglie Silvia, di cui, prigioniero di un'ingannevole rappresentazione della realtà, non aveva mai sospettato.

L’aspetto che colpisce in questo dramma è la metamorfosi di questo personaggio, Martino Lori, il quale abbandona il tono dell’uomo dimesso e modesto, e, per riscattare il suo orgoglio ferito dalle molte mortificazioni subite ingiustamente, pone la giovane di fronte alla realtà, dimostrandole di essere un uomo autentico, a differenza del senatore che per fare carriera si è appropriato di un testo scientifico scritto da una altra persona.

Nei diversi momenti della spettacolo, le cui musiche hanno delle tonalità malinconiche struggenti e delicate, i diversi personaggi si fermano e con brevi passi ritornano indietro sul palcoscenico, quasi a volere dare corpo alla intuizione Pirandelliana che sulla scena sociale la verità deve essere sempre dissimulata e taciuta, a vantaggio dell'ingannevole finzione, che condiziona la vita umana di ogni persona in base al destino che il caso le ha assegnato.

Alla fine Palma mostra un sincero pentimento verso Martino Lori, per averlo trattato con disprezzo, e insieme a suo marito, il Marchese Gualdi, gli manifesta i sentimenti della sua stima e ammirazione. Tutti i personaggi di questo dramma di Pirandello sembrano animati da una sorta di inquietudine cerebrale di fronte al caos inafferrabile della vita, dominata dal nulla e dal caso.

Pubblicato in: 
GN13 Anno IV 6 febbraio 2012
Scheda
Titolo completo: 

Teatro Argentina di Roma

Tutto per Bene

di Luigi Pirandello, Regia di Gabriele Lavia, con Gabriele Lavia, Gianni De Lellis, Lucia Lavia, Roberto Bisacco, Daniela Poggi, Riccardo Bocci, Giulia Galliani, Giorgio Crisafi, Riccardo Monitillo.

Scene Alessandro Camera, costumi Andrea Viotti, musiche Giordano Corapi, luci Giovanni Santolamazza.    

fino al 10 febbraio 2012