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Venezia 76. Martin Eden, ovvero "dell'istruzione"
In Concorso al Festival di Venezia 76°, Luca Marinelli ha vinto la Coppa Volpi, molto meritatamente, come protagonista del film. Per la prima mezz'ora di film mi sono chiesta cosa c'entrasse uno dei capolavori di Jack London, datato 1909, con “u' guaglióne ” napoletano Martin Eden: stavo quasi per uscire in preda ad un impeto di ribellione contro la desacralizzazione di quella che, in realtà, è l'autobiografia romanzata di Jack London, lo scrittore. Dopo, è successo qualcosa, il film ha approfondito le proprie fauci nel dolore, nell'autentica vita di questo napoletano così incredibile per essere vero fino al midollo. Buono e generoso quasi da schiaffeggiarlo, il protagonista del film di Pietro Marcello, Martin Eden, ovvero Luca Marinelli, si muta in un tropo che è un romanzo, poi diventa un profluvio di saggi, per terminare col romanticismo piu' ardito.
La trama: Martin Eden, marinaio impenitente come London – che ha fatto mille lavori come il suo antieroe, per gli stessi problemi finanziari – è un povero e bel ragazzo della “povera gente” come direbbe Dostoevskij, umile, si adatta ad una vita grama col supporto di pochi libri, e “senza un'istruzione”, gli farà notare la bella Elena, appartenente all'alta società, di cui s'innamora – che nel romanzo di London è Ruth Morse. Elena Orsini, interpretata dalla francese Jessica Cressy, è antipatica fin dalla prima “R” arrotata, probabilmente scelta appositamente per sembrare la capostipite di quanto di piu' perbenista e bigotto provenisse dall'alta società della Napoli – poverissima, sic! - di primo Novecento, continua a ripetere a Martin che, prima di approntarsi scrittore, ha bisogno appunto di una buona grammatica, nonché di studi superiori (non ha nemmeno terminato le elementari!). Lui, cocciuto, diventa autodidatta e “impara”: da Spenser, da Darwin, dai nemici socialisti come diventare ancora piu' individualista di quello che è, nonché inizia a poetare per la sua bella - che ci fa venire in mente il titolo del film precedente del regista, Bella e perduta sulla reggia di Carditello, presentato al Festival di Locarno nel 2015 – ma si annida in lui lo spirito del disprezzo per una società che non lo accetta, né quella dei poveri, né quella dei ricchi, per ragioni, dopotutto, identiche. La povera gente non crede in lui quanto la ricca, nessuno, tranne Russ Brissenden, e Maria, la sua padrona di casa che l'ha accolto in indigenza: Russ è una specie di Oscar Wilde non ancora finito in rovina, ricco, malato, che nutre lo stesso disprezzo per una società ipocrita, che non sa trovare il modo di salvarsi financo col socialismo in cui crede, in cui credeva London. Carlo Cecchi interpreta questa parte ed è l'unico allo stesso livello di Marinelli che, durante il film, subirà trasformazioni inaudite e reciterà come un attore a tutto tondo, vero campione tra tanti attorucoli che si vedono in giro – sempre gli stessi, sic!-, fermi nella loro espressione senza senso.
Martin Eden è un ritratto impietoso della realtà anche odierna: di una società di migragnosi, avari, avidi, il cui unico interesse è il denaro. Uno schiaffo in faccia a chiunque non sia pienamente autentico, a chi non faccia dell'agnizione e della sua evoluzione, artista o non che sia, il suo primo e ultimo scopo vitale.
Le tracce documentaristiche inserite dal regista a volte sono un vieppiu', altre sono pienamente relative al disfacimento dell'artista, altre il ritratto spietato dell'Italia poverissima, analfabeta dei primi anni '20, forse si arriva anche piu' in là, vi è da credere, coi prodromi della guerra. Il messaggio è unico: l'istruzione è l'unico modo di evolversi per un individuo, per affrancarsi dalla massa, e per diventare sé stesso. Superata la prima mezz'ora, che sembra anacronistica, e rende il protagonista a tratti ridicolo, si profila una vera discesa nella patologia sociale, nello studio di un darwinismo sociale che coglie un'Italia impreparata perché ignorante.