Italia gerontofila

Vecchi, ovunque, sull’autobus, per strada, in tutti i luoghi e nei posti di potere: al contrario della Germania, loro sono sei, noi siamo uno. Per vecchi intendo persone oltre la soglia della pensione, sopra i 65 anni, che fanno storie pure quando gli si offre il posto che a loro spetta in autobus, dicono: “dopotutto non sono così vecchio”, aspettandosi un ovvio complimento farcito di bugia bianca.

Azione-reazione, come gli animali: non educazione perché l’educazione vorrebbe il ringraziamento prima di tutto, sebbene per un diritto garantito dallo Stato.

I giovani non hanno diritto a niente invece. Loro, i giovani, sono fortunati proprio perché sono giovani, come se fosse una condizione eterna e loro, i vecchi, non l’avessero mai vissuta. Una specie di turbamento mi fa pensare a tecniche di necrofagia evoluta: precarizzare i giovani per tutta la vita e non far accedere i migliori ai posti di lavoro che loro spettano, sembrano garantirgli o dargli l’illusione di garantirgli, una giovinezza che solo loro percepiscono, a cui coattano tutti gli altri con la finta scusa dell’educazione, che vieterebbe di dire le cose come stanno: che loro, appunto, sono vecchi e di lasciare il posto a chi ha le energie necessarie per modificarlo e rinnovarlo il mondo.

Il nodo è questo dopotutto: che loro non se ne vanno, non lasciano poltrone proprio perché sono vecchi. La poltrona li inganna: gli fa pensare che, avere un posto di lavoro, anche se rubato ad uno dei potenziali loro figli, li renda onnipotenti per tromper la morte. Ed invece è il contrario. La morte, forse per inerzia, forse per ridicolizzarli un pò, si fa un giretto, magari va a prendersi una birra, ma lei è certa che ritornerà. Per tutti. Dai politici ai giornalisti, dagli amministratori ai direttori, non fa sconti a nessuno: lei ce l’ha sempre davanti il dato anagrafico, e sorride quando il vecchietto di turno si sollazza come fosse un giovinetto. Magari con alcool, ragazzette, pilloline blu o neve a iosa, estenuanti ritmi da far invidia ad un camionista (per l’uso delle donne siamo simili, mancano solo i poster nell’armadio – da nascondere alla moglie settuagenaria pure lei). Lei, la morte, pensa come una donna, in senso ontologico e fisiologico, e diversamente dalle vecchiette che mimano le giovincelle, anche loro inorridendo davanti all’offerta di un posto a sedere, si siede invece volentieri e aspetta.

Nei rinfreschi poi, i vecchi si notano subito: le vampire che si lanciano sui camerieri, prontamente in tenuta difensiva per non essere sopraffatti, sono sempre robuste e anziane signore ingioiellate che si tuffano sui viveri come se provenissero da un viaggio oltreoceanico a pane e acqua. Hanno molta più dignità i poveri immigrati, soccorsi dopo viaggi tremendi e malatrattamenti prolungati e disumani.

Questo è un breve e tristissimo quadretto dell’Italia gerontofila: quella dei favori e delle raccomandazioni, quella dove “tutti siamo giovani” (quindi spariranno i pedofili?), dove il moralismo borghese impera e fa strage di qualsiasi etica. Dove chiunque si può permettere di organizzare festini a casa propria con contorno di carne di donna, ed essere applaudito dalle signore benpensanti, che magari aspirerebbero ad un trattamento di favore e prolungato ed invece si devono accontentare di immaginarselo. Forse le loro figlie e nipoti potranno fare qualcosa per loro e soddisfare qualche aspettativa.

Livia Bidoli