Parco della Musica. Il rito sciamanico di Nick Cave

Articolo di: 
Teo Orlando
Cave

La Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma il 27 Novembre 2013 ha ospitato l'attesissimo concerto di Nick Cave, che quasi sconfinava nel rito sciamanico, andando ben oltre i confini di quella trasgressività a cui pure i concerti rock ci avevano abituati in quell’insolita venue che diventa la più grande sala dell’Auditorium (ad es. per il concerto degli Einstürzende Neubauten del 2011, guidati da Blixa Bargeld, più volte sodale di Nick Cave in imprese più o meno sperimentali e provocatorie come i Birthday Party).

Il cinquantaseienne performer australiano si presenta in versione quasi da glam artist, con un completo nero traslucido, a cui fanno da pendant i capelli dello stesso colore, quasi lunghi e lucidati con effetti cristallini. La scenografia ricorda piuttosto quella di un cabaret nero della Berlino dei tempi della Repubblica di Weimar che quella di un concerto di musica degli anni 2000.

Il primo brano, dall’ultimo disco Push the Sky Away, è "We No Who U R", cantato con ritmo cadenzato, cantilenante e quasi ipnotico (con un testo insolitamente delicato, ricco di stilemi poetici di marca “romantica”: "Tree don’t care what a little bird sings/We go down with the dew in the morning light" - All'albero non importa cosa canti l'uccello/Andiamo giù con la rugiada, nella luce del mattino. Si pensi ai primi versi di La belle dame sans merci di John Keats – così cari anche a Steven Brown dei Tuxedomoon e a Peter Hammill -, che suonano: "The sedge has wither’d from the lake,/And no birds sing" – Sono avvizziti qui i giunchi in riva al lago,/E nessun uccello cantando prende il volo).

Durante il secondo brano, "Jubilee Street", Cave accetta la mano portagli da una ragazza della platea, gettandosi tra il pubblico, che non esita a scardinare le convenzioni implicite nella fruizione della sala da concerto: tutti o quasi si alzano in piedi, incuranti del caos e della delicatezza dei sedili di velluto, su alcuni dei quali mani e piedi non esitano a far sentire la loro forza di pressione.

Intanto i Bad Seeds cominciano a far vibrare la loro potenza di suono, con in primo piano il polistrumentista Warren Ellis, già noto con i Dirty Three e autore, con Cave stesso, di alcune pregevoli colonne sonore (da The Assassination of Jesse James a The Road, il film che John Hillcoat ha tratto da quell’immenso capolavoro che è il romanzo omonimo di Cormac McCarthy). Ellis domina sia la chitarra, sia il violino (suonato in modo assolutamente anticonvenzionale, con l’archetto brandito a mo’ di arma), sia il flauto traverso, quasi mimando l’incomparabile leader dei Jethro Tull, Ian Anderson.

Cave continua la performance alternando la sua proteiforme e polimorfica persona in vari diversi avatar: da animale da palcoscenico che regna sovrano sullo stage, a uomo generoso che irradia con il suo sudore profetico la folla mescolandosi con i fans, scivolando e risalendo sui sedili, a compassato crooner seduto al pianoforte per intonare melodie che ricordano a tratti Leonard Cohen (non si dimentichi che il primo brano del suo primo LP fu una tenebrosissima cover della già very gloomyAvalanche” del supremo maestro canadese), a tratti Tom Waits e a tratti David Tibet dei Current 93, con il quale ha già collaborato varie volte (per "All the Pretty Little Horses" e per "Patripassian"), e con cui si prevede un’ulteriore collaborazione nel prossimo disco del gruppo alfiere del folk apocalittico. Tra queste slow ballads spiccano "People Ain’t No Good", "Sad Waters" e "Into My Arms".

Il brano “Red Right Hand” viene quasi scandito da una campana lugubre, ma con il suono che sembra una parodia di quella degli AC/DC in "Hells Bells". Il palco è essenziale, le luci rosse e blu minimaliste, ma perfette per accompagnare il brano, denso di reminiscenze bibliche e letterarie. In particolare, lo stesso titolo proviene dal poema Paradise Lost di John Milton, come scrive lo stesso Cave in "Song of Joy", un'altra canzone che cita estesamente il poeta inglese ("Should intermitted vengeance arm again / His red right hand to plague us?" - Dovesse la sospesa vendetta armare ancora/la sua mano destra rossa ai nostri danni?, Paradise Lost, Libro II, vv. 173-174), il quale lo riprende a sua volta dalle Odi di Orazio ("Iam satis terris nivis atque dirae/grandinis misit Pater et rubente/ dextera sacras iaculatus arces/terruit Urbem" - Già troppa neve e troppa dannosa grandine/il Padre ha mandato sulla terra e, infierendo con la destra di fuoco sulle sacre rocche/, ha atterrito la città, II, vv. 1-4).

Dopo una struggente, appassionata e corale "Mermaids", con un’animalità che ricorda quella di Jim Morrison e di Iggy Pop, Cave non esita a proporre una versione un po’ stravolta del classico "The Weeping Song", appartenente al suo periodo brasiliano, intonata con voce sofferente e con quella ieraticità solenne, ma un po’ luciferina e apocalittica, di colui che aspira confusamente alla Verità.

Il pubblico viene coinvolto in modo intenso, come quando una ragazza sale sul palco e viene abbracciata dall’artista o come quando nel corso del bis coinvolge un giovanissimo fan tenendolo a fianco a sé per l’intera durata della canzone.

Per molti versi, per quanto anomalo, Cave è pur sempre una rockstar, che viene quindi adorato dai suoi fans, quasi a simulare la venerazione di una figuracristica”, seppure più simile a un eresiarca che promette di far varcare gli angusti confini del corpo umano. Non si dimentichi il suo primo romanzo, And the Ass Saw the Angel, dove i simboli religiosi venivano interpretati in modo dissacrante e con un'insistenza sul tema della corporeità che a tratti ricordava il Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche.

In "From Here to Eternity" la sua interpretazione ci fa assaporare la soglia del rock e del blues, con un canto ritmato e ossessivo. Invece, nel singolare "Higgs Boson Blues" Cave si produce in una sorta di epica narrazione, dove viene quasi auspicato l’arresto del tempo ("I'm tired, I'm looking for a spot to drop All the clocks have stopped/in Memphis now" - Sono stanco, cerco un posto dove lasciarmi cadere/Tutti gli orologi si sono fermati/a Memphis adesso).

I bis cominciano con "God Is In The House" (da No More Shall We Part, dove con ironia malcelata annuncia: «This is for Silvio!»), mentre la fragorosa ed esaltante "Deanna" è già quasi un congedo.

Con "Red Right Hand" Cave si esibisce in un improvviso colpo di scena, strappando uno smartphone a un ignaro spettatore, quasi rimproverandolo («You don’t have any self-respect») con tono predicatorio, salvo poi restituirglielo beffardo.

Con "We Real Cool" il concerto si conclude sul serio, non senza che prima Cave presenti brevemente i rinnovati Bad Seeds (Warren Ellis al violino, flauto e chitarra, George Vjestica alla chitarra elettrica, Conway Savage alle tastiere, Martyn Casey al basso, Barry Adamson alle percussioni e Jim Sclavunos alla batteria).

Una degna conclusione per una memorabile performance di un tetro, ma anche contraddittoriamente e nietzscheanamente gioioso, cantore, così visceralmente australiano e così profondamente mitteleuropeo, dell’angoscia schizoide del ventunesimo secolo.

Pubblicato in: 
GN5 Anno Vi 3 dicembre 2013
Scheda
Titolo completo: 

Fondazione Musica per Roma

Nick Cave & The Bad Seeds

Auditorium Parco della Musica - Roma, 27 Novembre 2013

Push The Sky Away Tour

Setlist

1. We No Who U R (from Push the Sky Away)
2. Jubilee Street (from Push the Sky Away)
3. Tupelo (from The Firstborn Is Dead)
4. Red Right Hand (from Let Love In)
5. Mermaids (from Push the Sky Away)
6. The Weeping Song (from The Good Son)
7. From Her to Eternity (from From Her to Eternity)
8. West Country Girl (from The Boatman's Call)
9. People Ain't No Good (from The Boatman's Call)
10. Sad Waters (from Your Funeral...My Triall)
11. Into My Arms (from The Boatman's Call)
12. Higgs Boson Blues (from Push the Sky Away)
13. The Mercy Seat (from Tender Prey)
14. Stagger Lee (Fred Waring & His Pennsylvanians cover) (from Murder Ballads)
15. Push the Sky Away (from Push the Sky Away)

Encore:
16. God Is in the House (from No More Shall We Part)
17. Deanna (from Tender Prey)
18. Papa Won't Leave You, Henry (from Henry's Dream)
19. We Real Cool (from Push the Sky Away)