Supporta Gothic Network
Venezia 70. Con il fiato sospeso e avvelenato
Tra i film Fuori Concorso della 70. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia ve n'è uno tratto dalla storia tragica e vera di un giovane ricercatore di nome Emanuele, morto di tumore nel 2003, per aver lavorato nel Laboratorio di Farmacia di Catania. Il mediometraggio diretto da Costanza Quatriglio si intitola Con il fiato sospeso e ripercorre per 35 minuti la storia della chiusura di quell'insalubre laboratorio, attraverso le parole di Alba Rohrwacher - nella parte di Stella -, e le sue riflessioni, insieme alla storia parallela di Anna, interpretata da Anna Balestrieri.
Come si può far lavorare giovani ricercatori in un ambiente contaminato da veleni come il piombo, lo zinco, il rame, il benzene (ed altri), in quantità oltre la norma, tali da avvelenare gradualmente chi vi trascorreva dalle 8 alle 12 ore al giorno? Tutto ciò con il benestare tacito dei professori di cui i ragazzi si fidavano, in cui i ragazzi credevano, perchè, come ci chiede retoricamente Alba Rohrwacher nella parte di Stella: “Come fai a pensare che i tuoi professori non ti dicano una cosa del genere? Tu ti fidi, no?” Forse questo è quello che è accaduto alla maggior parte dei figli di Italia, ed ha ragione allora Costanza Quatriglio ad asserire amaramente che: “L'Italia è un paese che divora i suoi figli”, perché non ha importanza se quegli studenti da poco divenuti ricercatori, non fossero “propriamente” i figli di quei professori, loro ne erano responsabili in quanto adulti e detentori di un potere, non solo istituzionale e direzionale, ma anche sostanzialmente etico, sui loro ex-studenti, esattamente come dei padri con i loro figli.
Quello che sconvolge del film, aldilà dell'estrema (forse eccessiva) lentezza che lo contraddistingue, è il pensare che dove si dovrebbe indagare per salvare la vita, si condanna a morte le giovani vite che ingenuamente vi si dedicano, perché Stella, esattamente come Emanuele, si è fidata dei suoi professori, dell'incarico che amava, della sede universitaria che avrebbe dovuto garantirle a priori la sanità. Ed è un vero paradosso che proprio in un laboratorio farmaceutico universitario accada tutto questo, in un laboratorio chiuso nel 2008 per inquinamento ambientale, e che, tuttora, non vi siano responsabilità accertate per i vertici della facoltà, come per le case farmaceutiche che collaboravano.