Dracula di Luc Besson. Una love story con vampiri e gargoyles

Articolo di: 
Teo Orlando
Dracula

Con Dracula: A Love Tale (o semplicemente Dracula) il regista francese Luc Besson (noto per film come Nikita, Il quinto elemento, Giovanna D'Arco) non ci propone l'ennesimo remake di una delle tante pellicole ispirate al romanzo di Bram Stoker (1897), ma una sua libera reinterpretazione in chiave “tragico-romantica”, come ha dichiarato lo stesso Besson, che enfatizza la componente dell’attesa amorosa, e perfino della reincarnazione, più che quella dell’orrore puro.

Del resto Besson, da buon francese, sembra prestar quasi fede ad un'osservazione del filosofo Jean-Jacques Rousseau, secondo il quale "Se c’è al mondo un fatto ben documentato è senz’altro l’esistenza dei vampiri. Non manca nulla: rapporti ufficiali, dichiarazioni giurate di persone note, medici, preti, magistrati. Le prove giudiziarie sono assolutamente complete. E nonostante tutto c’è forse chi crede ai vampiri?”.

Il romanzo di Bram Stoker, più citato che letto, è costruito attraverso narrazioni epistolari e diari, con molteplici punti di vista (Jonathan Harker, che è il deuteragonista, Mina, il dottor Van Helsing, ecc.), che creano un mosaico di testimonianze, mistero, suspense, ed un orrore progressivo. Dracula è un villain quasi archetipico: è una figura magnetica, oscura, che incarna il male, la degenerazione che invade la civiltà vittoriana, il colonialismo psichico, le paure del diverso, della sessualità, della scienza nella piena esplosione del positivismo (con Mill, Spencer, Darwin, Huxley) che sfida la dimensione metafisica. 

Il Dracula di Stoker è sulla soglia tra il XIX e il XX secolo, e mostra il precario equilibrio di quel periodo tra l'importanza attribuita alla scienza, da una parte, e alla religione, dall'altra. Dracula, secondo la tradizione dei mostri immaginari, è esplicitamente collegato all'inferno e rappresenta un'inversione del cristianesimo tradizionale. "Dracul", infatti, è la parola per "diavolo" nella lingua nativa valacca del Conte, e una delle sue incarnazioni è una creatura strisciante simile a una lucertola; il fatto che  il visitatore inglese, Jonathan Harker, lo incontri per la prima volta nel giorno della festa di San Giorgio, l'uccisore di draghi (e patrono dell'Inghilterra), introduce il tema dell'uccisione del drago, la lotta tra religione e istinto rozzo, così come il dono della contadina a Harker di un crocifisso, che lui, da protestante e uomo di scienza, guarda con sospetto e sconcerto. Come anticristo, Dracula offre ai suoi seguaci anche ciò che il cristianesimo afferma di offrire: la resurrezione del corpo e la vita eterna. Del resto, Stoker si ispirò ad altre simili narrazioni, come The Vampyre, dell’inglese John Polidori (1819), scritto durante un’estate trascorsa con Lord Byron, il poeta Percy Bysshe Shelley e la futura moglie di questi, Mary Wollstonecraft Shelley, autrice di Frankenstein (1818, prima versione; 1831, versione definitiva): il protagonista di The Vampyre di Polidori era un certo Lord Ruthven, pallidissimo e crudele, dissanguatore di fanciulle, nel quale la sete di sangue e gli impulsi sessuali si manifestano in eguali proporzioni. Oppure al romanzo Carmilla (1872), scritto dal suo amico Joseph Sheridan Le Fanu, in cui la protagonista è una vampira con vaghe tendenze omoerotiche.

Besson cambia radicalmente le priorità del racconto: il fulcro è l’amore perduto, la reincarnazione, la perpetua attesa di una donna che somiglia alla moglie defunta. Questo approccio romantico è dichiarato dallo stesso regista: “non sono fan degli horror, né di Dracula; volevo raccontare Dracula come l’uomo che attende per 400 anni il ritorno del suo amore.” Da qui derivano semplificazioni narrative: l’orrore diventa solo uno sfondo e i motivi gotici tradizionali (il Mostro, il disfacimento, l’ignoto, l'altro perturbante) sono trattati con misura, spesso filtrati attraverso la bellezza, la tragicità, piuttosto che l’angoscia.

Di comune con Stoker c'è però una certa propensione a considerare Dracula quasi come un villain positivo. Crudele nei suoi atti, sì, ma animato da un codice morale e da un amore nobile, capace di rendere comprensibili le sue ossessioni e passioni. Nell'interpretazione di Caleb Landry Jones questi tratti appaiono in modo evidente. Gli antagonisti, al contrario, pur sopravvivendo tutti, sono descritti come prosaici, rassegnati al male, privi di fascino o complessità morale; la loro funzione narrativa sembra quasi didattica: servono da contrappunto e amplificano la grandezza tragica e romantica del protagonista.

Le figure femminili (Zoë Bleu come Elisabeta/Mina e Matilda De Angelis come Maria, corrispondente alla Lucy Westenra del romanzo) invece, sono tutte affascinanti e di spiccata personalità: rappresentano la perfezione, la purezza o l’ideale verso cui l’eroe-villain si proietta, rendendo la narrazione più poetica e drammatica.

Tra le aggiunte, c’è l’enfasi sulla figura del vampiro come amante eterno e sull’idea della reincarnazione (dove il cristianesimo nordico ben si sposa con l’ambientazione romantica/gotica). Il film sposta Dracula da personaggio puramente mostruoso a figura tragica, quasi vittima anch’esso del suo stesso destino amoroso. Alcune parti del romanzo vengono trascurate o messe in secondo piano: ad esempio la profondità del confronto morale, la paura del contagio, il ruolo dei personaggi secondari (Renfield, Van Helsing) che nel film appaiono più sfumati. Tuttavia, alcune scelte dialogiche e alcune scene d'azione sembrano troppo al rallentatore: statiche, il ritmo narrativo risulta discontinuo, con scene che non sviluppano appieno l’orrore o la suspense che in Stoker (e in film come quello di Francis Ford Coppola) sono centrali. Per certi versi, ci viene in mente The True Story of a Vampire del conte Eric Stenbock: è un testo è meno conosciuto rispetto a Stoker, ma è parte della tradizione del vampirismo letterario ottocentesco/fantastico, con un’attenzione al gotico, al mistero, e alla tragedia del vampiro, spesso in relazione con la decadenza estetica, la malattia, l’ossessione. Ha molto in comune con i Tales of the Grotesque and Arabesque (1840) e i Tales of Mystery & Imagination (1839) di Edgar Allan Poe ed è stato recentemente riscoperto dal gruppo di darkfolk progressive Current 93. 

Nel film di Besson, c’è una vicinanza con queste tematiche: ossessione amorosa, l’immortalità come maledizione, la perdita del divino dopo la morte dell’amata, un vulnerabile equilibrio tra bellezza e orrore. Tuttavia, il film non raggiunge il livello di sperimentalità formale dello svedese Conte Eric Stenbock (1860-1895), né la densità simbolica o la frammentazione narrativa che caratterizzano The True Story of a Vampire. Besson costruisce un racconto più lineare, con meno elementi di decadenza estetica, meno riflessione sulla malattia, meno varietà di prospettive che nel tessuto letterario ottocentesco del vampiro/decadente. Il film poi cade in alcuni cliché relativamente problematici per quanto riguarda le donne: la figura femminile è spesso idealizzata, in parte oggetto dell’amore eterno, ma poco attiva; la femminilità diventa simbolo più che soggetto.

Ci vengono in mente anche confronti con alcune versioni cinematografiche classiche, come il Nosferatu di Murnau, del 1922) e Nosferatu il principe della notte di Werner Herzog, con Klaus Kinski (Nosferatu: Phantom der Nacht, 1979)

La versione di Murnau è forse il paradigma del vampiro cinematografico come incarnazione del male cosmico, atmosferico, della paura dell’ignoto, dell’ombra. Non solo Dracula come personaggio, ma tutta la messa in scena – luci, ombre, ambienti, suono – costruisce un’esperienza visiva/ambientale che non dipende (quanto il film di Besson) dalla bellezza romantica o dalla spettacolarità visiva digitale, ma dall’atmosfera inquietante, dall’ombra, dal non detto: anche perché il film appartiene ancora all'epoca del muto. Comparato a Nosferatu, il Dracula di Besson perde molto in termini di orrore puro, mistero visivo, atmosfere oscure dense. Besson punta piuttosto sull’estetica patinata, sul romanticismo, sui panorami gotici ben curati, sugli effetti visivi. Un'invenzione felicissima sono i gargoyles di Notre Dame trasformati in guardiani del castello del Conte, con straordinari effetti di animazione digitale.

La versione di Herzog con Kinski (Nosferatu) porta il vampiro in una dimensione quasi metafisica, lirica: il vampiro diventa simbolo della solitudine e dell’esilio, quasi dell’altro. Herzog filtra l’estetica gotica con la natura, il paesaggio, la malinconia. Kinski interpreta un Dracula/Nosferatu che è più che un mostro: è un’anima perduta, una creatura dell’anima in conflitto con sé stessa. Ma in un gioco di citazioni, anche Besson propone qualcosa di simile, quando tra l'altro raffigura un Dracula incredibilmente senescente, all'incontro con Jonathan Harker, con tratti simili a quelli del Nosferatu di Herzog (ben rievocato nella song "Nosferatu" del cantautore e scrittore gotico Paul Roland). Ma dove Herzog lascia spazio al silenzio, all’ombra, all’agonia interiore, Besson spesso affolla la scena, la veste di grandezza visiva, di spettacolo, rischiando di smorzare la profondità della tormentata interiorità del protagonista.

Anche i film con Dracula interpretati da Bela Lugosi, nel 1931, resi famosi anche da una canzone dei Bauhaus, "Bela Lugosi is dead", nonché da una nuova colonna sonora omonima, commissionata a Philip Glass e al Kronos Quartet (per una riedizione del film datata 1999), e da Christopher Lee, nel 1958, che riecheggiano qui, incarnano il vampiro come figura teatralmente sensuale, oscura, aristocratica e ambigua. Sono performance che giocano molto sull'identità del vampiro come alterità seducente, sul contrasto luce/ombra, sul melodramma gotico: il terrore della malattia e della morte sono messi in primo piano.

In ogni caso, nel cinema come nella letteratura, la figura del vampiro si è diffusa come presenza “innominata”, come contagio, come simbolo che si manifesta non solo quando viene esplicitamente nominato, ma implicitamente, nei temi e nella struttura narrativa.  Lo ha ben compreso un allievo di Umberto Eco, Renato Giovannoli, nel saggio Il vampiro innominato. Il “Caso Manzoni-Dracula” e altri casi di vampirismo letterario (Medusa, 2008), che offre un quadro critico utile per interrogarsi sul modo in cui autori che non scrivono di “vampiri” in modo esplicito possono tuttavia incorporare aspetti del vampiro: l’ombra che corrompe, il male che si insinua, la presenza inquietante nelle pieghe della narrazione. Giovannoli riprende l’evoluzione di forme narrative – quelle del romanzo gotico, del romanzo nero, del romanzo sensazionalistico – che vengono poi “depurate” (nel caso manzoniano, “goticizzate” e poi “degoticizzate”), per arrivare a modelli più “rispettabili,” ma che mantengono tracce del fantastico e dell’inquietante nei margini. Nel film di Besson, pur essendo esplicita la figura del vampiro, molti elementi sembrano giocare su questo doppio registro: Dracula/vampiro è anche un amante, un amante perduto, la sua “maledizione” è al contempo orrore e sublime bellezza, la sua immortalità è desiderio e isolamento. Il film sembra voler rendere meno forte la distinzione tra il vampiro demonico e il vampiro romantico, trasformando il mostro in figura mitica dell’amore eterno.

Besson in Dracula: A Love Tale compie qualcosa di affine: prende un archetipo gotico, lo riveste di elementi romantici e tragici, lo porta in territori mainstream—visivi spettacolari, una sensibilità moderna—rischiando però, come Giovannoli suggerirebbe, di perdere parte della sua potenza quando il fantastico e l’orrore vengono smussati. A lode di Besson vanno citati comunque la cura dei costumi, del set, degli esterni (il castello, i gargoyles animati con la tecnica del motion capture, i paesaggi innevati, gli interni decadenti). La produzione VFX è imponente: MPC Paris ha realizzato 656 effetti visivi, comprese sequenze interamente in CG, creature come gargoyles, ambienti esterni completi in formato digitale, la scena del prato con neve, la decapitazione di una delle protagoniste con un'estetica grand guignol. Ciò lo rende affascinante per chi ama il mito, ma forse deludente per chi cerca una versione che risvegli l’oscuro, il perturbante e la paura.

Pubblicato in: 
GN50 Anno XVII 27 ottobre 2025
Scheda
Titolo completo: 

Dracula - L'amore perduto
Titolo originale: Dracula: A Love Tale
Lingua originale: inglese
Paese di produzione: Francia, Regno Unito
Anno: 2025
Durata: 129 minuti
Genere: orrore, sentimentale
Regia: Luc Besson
Soggetto: Dracula di Bram Stoker
Sceneggiatura: Luc Besson
Produttore Virginie Besson-Silla
Casa di produzione EuropaCorp, LBP Productions
Distribuzione in italiano: Lucky Red
Fotografia Colin Wandersman
Musiche Danny Elfman
Scenografia Hugues Tissandier
Costumi Corinne Bruand

Interpreti e personaggi
Caleb Landry Jones : Vladimir/Dracula
Christoph Waltz: prete
Matilda De Angelis: Maria
Zoë Bleu: Elisabeta/Mina
Haymon Maria Buttinger: cardinale

Uscita al cinema 29 ottobre 2025