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Venezia 71. Masbedo con un volto senza parole
I Masbedo partecipano alla Biennale di Venezia 71 per le Giornate degli Autori con The Lack, un film che ha come protagonista la mancanza del titolo e quindi la donna: una sorta di omaggio alla loro solitudo nei rapporti, non solo con gli uomini ma anche fra di loro e nel paesaggio catartico e antartico dell´Islanda, e la superba lontananza dell'isola Lisca Bianca nelle Eolie.
La generale sensazione è di essere finiti nel nulla: cosmico e naturale di alcune donne, slave, giapponesi, italiche che, partendo dalla tenda di un circo dove si gira The Lack, questa sublime quanto simbolica Mancanza a lettere cubitali, viene celebrata come un rito misterico, chiosando con la rivelazione di un sogno infantile quanto contraddittorio.
Il duo dei Masbedo l'ho conosciuto al MAXXI qualche anno fa, sono di Milano e suggestivi: si chiamano Nicolò Massazza e Jacopo Bedogni e collaborano tra l’altro con le avanguardie rock dei Marlene Kuntz, girando molti loro video in un interscambio continuo, che ha previsto la sonorizzazione da parte del gruppo di Schegge d’incanto, lavoro presentato alla Biennale di Venezia del 2009. L’indagine sulla solitudine – è un topos per loro - apriva l’obiettivo già allora sull’Islanda ed i suoi paesaggi sfocati, tra input flessibili tra i generi mschile e femminile nella performance C’est la vie pas le paradis, in anteprima il 7 maggio 2011 al MAAXI con la musica ed il sound design di Lagash. Sono celebri anche per un'altra particolare espressione video artistica dalla qualità tecnico-estetica eccelsa (11.45.03), con riferimenti esoterici alla sezione aurea e personaggi che sembrano tratti da un sogno a tinte scure.
The Lack però è un film, un lungometraggio, e le lunghezze dei video e la percezione dello spettatore di fronte ad una durata di quasi ottanta minuti, sono diverse rispetto ai quattro o cinque (o anche di più) di un video d'artista. La fruizione è sostanzialmente diversa: soprattutto la differenza è nel modus operandi, l'evocazione che nel video d'arte è supremamente principale, nel film deve necessariamente essere esplicitata, per inquadrarsi in un percorso narrativo che non può e non deve essere solo accennato. La bravissima e magnetica quanto potente Lea Mornar (Eve, il primo episodio), non basta da sola a costruire un percorso piuttosto conosciuto alle donne (ma anche agli uomini), quello dell'abbandono senza parole, silente, che ci ricorda Citto Maselli con Codice Privato (1988) ed un'Ornella Muti che, sola in un attico, - e nonostante i premi ricevuti allora -, ci annoia un po', e si avvicina molto a delle folate accademiche autoreferenziali.
I paesaggi, stupefacentemente affascinanti nella loro solida solitudo, non ci raccontano delle storie, accennando frammenti e avviluppando nella loro bellezza con un volto ma senza parole.